Studio dell’INGV e Università “Sapienza” per meglio comprendere i processi sismologici attraverso la conoscenza delle differenti forze che generano i terremoti, l’ambiente geologico in cui hanno luogo e le proprietà fisiche delle strutture che li generano.
di Piero Mastroiorio —
Uno studio, dal titolo “The impact of faulting complexity and type on earthquake rupture dynamics”, da poco pubblicato su Communications Earth Environment di Nature, realizzato dai ricercatori dell’INGV, Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, nonché dall’Università Sapienza di Roma, dimostra come le proprietà di un evento sismico cambino in funzione della complessità della struttura della faglia che ha generato il terremoto e del suo ambiente tettonico, che costantemente sottopongono la crosta terrestre e tendono a deformarla e, in presenza di determinate condizioni, può rompersi generando un terremoto. Questo fenomeno è prodotto dallo scivolamento di volumi di roccia nel sottosuolo lungo complesse fratture dette ‘faglie’, accompagnato dal rilascio di stress ed energia anche sotto forma di onde sismiche. Per conoscere le forze che producono i movimenti della crosta terrestre e che sono alla base dei terremoti, è necessaria l’analisi di dati sempre più consistenti e affidabili oltre a tecniche via via più precise di analisi dei segnali sismici.
«Lo sviluppo delle reti sismiche e l’affinamento delle tecniche e delle tecnologie impiegate nella caratterizzazione della sismicità permettono di analizzare molte delle sue proprietà. È fondamentale, quindi, compiere ulteriori sforzi teorici e modellistici per proseguire in modo sistematico l’analisi di dati sempre più abbondanti e affidabili. Ciò consentirà lo sviluppo di una visione complessiva dei meccanismi all’origine dei terremoti e una comprensione più avanzata dei processi sismologici a carico della parte superficiale (fino a 15-20 km di profondità) e fredda della crosta. Ancora, lo studio suggerisce che in presenza di bassi valori di doppia-coppia, due coppie di forze ortogonali fra loro che rappresentano il meccanismo del terremoto, non giustificati da processi fisici, è possibile una sottostima della magnitudo dei terremoti», dice Davide Zaccagnino, dottorando della Sapienza e coautore della pubblicazione con Carlo Doglioni, che spiega: «I terremoti non sono tutti uguali: la struttura della rottura è influenzata dal fatto che i volumi crostali tendono ad accavallarsi, allontanarsi o a scorrere parallelamente gli uni agli altri. Nel primo caso, la dislocazione avviene lungo una frattura particolarmente sottile e concentrata, negli altri casi, invece, tende maggiormente a diversificarsi in più piani all’interno del volume crostale. I modelli sismologici classici impiegati per lo studio dei terremoti assumono che ogni rottura avvenga in un’unica faglia sotto l’azione di una doppia coppia di forze ortogonali fra loro e orientate in modo tale da riprodurre le osservazioni dei sismografi. Per quanto forti, le assunzioni delle teorie attuali sono in grado di spiegare le principali osservabili sismologiche e fornire alcune informazioni di massima riguardanti un evento, come la magnitudo e il tipo di movimento della faglia. Tuttavia, le stesse ipotesi risultano restrittive per una descrizione dettagliata della sismicità, in particolare sul tipo di energia rilasciata dal movimento, cioè se elastica o gravitazionale, oltre che sul coinvolgimento dei volumi crostali.».