di Piero Mastroiorio —
I risultati di uno studio, “Earthquakes control the impulsive nature of crustal helium degassing to the atmosphere”, recentemente pubblicato su ‘Communications Earth & Environment’ di Nature, condotto dai ricercatori dell’INGV, Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, dell’UniNA, Università degli Studi di Napoli Federico II, dell’UniBAS, Università degli Studi della Basilicata e dell’IMAA-CNR, Istituto di Metodologie per l’Analisi Ambientale del Consiglio Nazionale delle Ricerche, che hanno calcolato i volumi delle rocce coinvolte nella sismicità recente dell’Irpinia, in Italia, analizzando il catalogo sismico degli ultimi 12 anni, ha dimostrato come I fluidi, che attraversano la crosta terrestre, siano coinvolti nei processi che generano i terremoti e dalla loro analisi è possibile trarre informazioni sulle dinamiche all’interno del nostro pianeta e come, grazie alle sue caratteristiche, l’elio, il gas nobile più leggero, sia un utile tracciante per studiare i processi che avvengono nella crosta, compresi quelli che precedono i terremoti.
Questa analisi ha permesso di calcolare i flussi di elio radiogenico (4He) prodotto nelle zone di faglia, che i ricercatori hanno poi confrontato con i flussi di elio attraverso l’intera crosta. In particolare, l’elio è presente nei fluidi naturali con due isotopi: l’elio primordiale (3He), la cui origine è riducibile all’origine del Pianeta stesso e l’elio radiogenico, che è continuamente prodotto dal decadimento di elementi quali l’uranio (U) e il torio (Th), contenuti nelle rocce terrestri.
Nelle aree continentali del nostro pianeta, dove la tettonica delle placche è attiva, l’analisi complessiva dell’elio si è rivelato un potente strumento per ricostruire i processi che vedono coinvolti i fluidi nel loro trasferimento o stazionamento nella crosta terrestre, i ricercatori, hanno scoperto che i terremoti di bassa magnitudo, quelli con magnitudo minori di 4, fanno registrare variazioni del flusso di elio crostale nell’atmosfera, confermando l’aumento del degassamento terrestre nelle regioni continentali tettonicamente attive ed hanno, pertanto, concluso che esiste una relazione quantitativa tra i flussi di elio crostale e il volume nelle zone di faglia.
Ciò fa ipotizzare che le variazioni nel flusso di elio possono rappresentare un indicatore dei cambiamenti nello stress delle faglie correlandolo così ai terremoti, come afferma Antonio Caracausi, ricercatore dell’INGV e coordinatore dello studio, sottolineando: «La nostra idea è stata quella di osservare i processi che generano i terremoti utilizzando un approccio multidisciplinare, geofisico e geochimico. In questo modo si avrà la possibilità di capire i volumi di roccia coinvolti nei processi di rottura della crosta, utilizzando i cataloghi dei terremoti e, di conseguenza, dimostrare che la genesi di un terremoto può modificare il degassamento dell’elio in atmosfera. Avremo così anche nuovi elementi per lo studio dell’evoluzione dell’atmosfera terrestre.».
La ricerca, condotta in Irpinia, in corrispondenza dell’area del terremoto del 1980, che fece registrare una magnitudo pari a 6.9, ha utilizzato i dati del catalogo sismico degli ultimi 12 anni e le informazioni riguardanti i parametri di sorgente di migliaia di piccoli terremoti di magnitudo minore di 4 avvenuti nella stessa area, attraverso cui è stato possibile calcolare il degassamento di elio radiogenico rilasciato in atmosfera, ha portato i ricercatori a stimare, come vengano rilasciate, nell’atmosfera, grandi quantità di elio in coincidenza con l’attività sismica di bassa magnitudo (M<4). Le precedenti evidenze scientifiche, invece, erano relative solo a terremoti di elevata magnitudo, come quello di Kobe nel 1995 e di Kumamoto nel 2016 entrambi in Giappone di magnitudo non minore di 6, come spiega, concludendo il ricercatore del CNR, Antonio Caracausi: «Abbiamo utilizzato i dati raccolti dalla rete sismica in Irpinia (ISNet), perché, rappresenta un laboratorio naturale per lo studio dell’evoluzione e dei processi di rottura delle faglie, in un settore appenninico caratterizzato in passato da forti terremoti e dall’emissione di gas di origine profonda, principalmente anidride carbonica.
L’importante conseguenza di questo studio è che il monitoraggio ad alta frequenza dell’Elio è fondamentale per esaminare e calibrare modelli regionali in grado di descrivere la relazione tra degassamento dell’elio stesso e i processi sismogenetici responsabili dei grandi terremoti. Il nostro studio, sottolinea, quindi, la necessità di implementare nuove soluzioni per la misura sul campo dei flussi di elio che consentano di acquisire i dati con una frequenza giornaliera. La realizzazione di sistemi innovativi di monitoraggio dell’elio, applicati in contesti diversi, potrebbero, anche, aiutare, a ricostruire l’evoluzione temporale di processi naturali come le eruzioni vulcaniche e i terremoti.».
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