Con la risposta alla domanda, quale Paese si salva dalla desertificazione, arriva un dato, secondo cui, entro il 2050, oltre tre quarti della popolazione mondiale potrebbe essere colpita dalla siccità, con la possibilità che sempre più persone vivranno in aree con estrema carenza d’acqua, fra cui, si stima esserci, un bambino su quattro, entro il 2040.
di Piero Mastroiorio —
«La siccità e la desertificazione stanno rapidamente diventando la nuova normalità, ovunque, dall’Europa all’Africa», le parole dell’UNEP, il programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, con cui si spiega come con l’aggravarsi della crisi climatica in tutto il Mondo si aggravi anche la siccità che attanaglia il Pianeta, non solo, ma un recente rapporto della Convenzione della Nazioni Unite sulla lotta alla desertificazione rileva che «il numero e la durata della siccità è aumentato di quasi un terzo negli ultimi due decenni. Desertificazione e siccità avanzano.».
I numeri diffusi, lo scorso 17 giugno 2022, in occasione della Giornata mondiale per la lotta alla siccità e alla desertificazione, sono impressionanti ed evidenziano quanto sia grave la mancanza d’acqua e la perdita di fertilità e biodiversità del suolo, che ormai interessano tutto il Mondo, che ha causato la morte di 650.000 di persone dal 1970, principalmente nei paesi che hanno meno contribuito ai fattori che hanno intensificato gli effetti della siccità, cioè, quei paesi meno responsabili di tutto questo, sovra sfruttamento di risorse e crisi climatica.
Oggi, ci sono oltre 2.300.000.000 di persone che affrontano situazioni di stress idrico ed entro il 2050, oltre tre quarti della popolazione mondiale potrebbe essere colpita dalla siccità, con sempre più persone che vivranno in aree con estrema carenza d’acqua, fra cui, come stima l’UNICEF, un bambino su quattro entro il 2040 dovrà convivere con la carenza d’acqua.
Il numero e la durata delle siccità sono aumentate del 29% dal 2000, rispetto ai due decenni precedenti e la siccità è indissolubilmente intrecciata con quella triplice crisi planetaria rappresentata dai cambiamenti climatici, dalla perdita di natura e di biodiversità e dall’inquinamento, riassumibile in una sola parola, desertificazione, cioè, il degrado dei terreni in aree aride, semi aride, secche, causata soprattutto da cambiamenti climatici ed attività umane, come dice l’United Nations, International Day Against Desertification and Drought, che nel sottolineare come la desertificazione non si riferisce all’espansione dei deserti esistenti, ma «si verifica perché gli ecosistemi delle zone aride, che coprono oltre un terzo della superficie terrestre del Mondo, sono estremamente vulnerabili allo sfruttamento eccessivo e all’uso inappropriato del suolo. Povertà, instabilità politica, deforestazione, pascolo eccessivo e cattive pratiche di irrigazione possono minare la produttività della terra.».
Fino al 40% della terra del Pianeta è attualmente degradato: c’è stata una deforestazione selvaggia, zone umide e torbiere sono state prosciugate, le montagne erose, praterie e terreni agricoli sono stati e continuano a essere sovra sfruttati, con la conseguenza che il degrado del suolo colpisce direttamente metà dell’umanità e ha il potenziale di minacciare metà del prodotto interno lordo globale.
La domanda che sorge spontanea, guardando questo scenario apocalittico, è: qualcuno si salva o si salverà dalla desertificazione?
Anche se qualcuno come il professor Antonino Zichichi, fisico, divulgatore scientifico e accademico italiano, specializzatosi nel campo della fisica delle particelle elementari, professore emerito del Dipartimento di fisica dell’Università di Bologna dal 2006, che, in un’analisi apparsa su “il Giornale” dichiarava: «È bene precisare che cambiamento climatico e inquinamento sono due cose completamente diverse. Legarli vuol dire rimandare la soluzione. L’inquinamento si può combattere subito senza problemi, proibendo di immettere veleni nell’aria. Il riscaldamento globale è tutt’altra cosa. Il riscaldamento globale dipende dal motore metereologico dominato dalla potenza del Sole. Le attività umane incidono al livello del 5%: il 95% dipende invece da fenomeni naturali legati al Sole. Attribuire alle attività umane il surriscaldamento globale è senza fondamento scientifico», secondo le stime del Global Land Outlook la risposta è negativa, dalla desertificazione non si salva nessuno e, come ricorda l’ISPRA, Istituto italiano per la protezione e la ricerca ambientale, il 70% delle aree libere da ghiacci è stato alterato dall’uomo, con conseguenze dirette e indirette su circa 3.200.000.000 di persone e si prevede che entro il 2050 questa quota possa raggiungere il 90%.
Attualmente circa 500.000.000 di persone vivono in aree dove il degrado ha raggiunto il suo massimo livello, ovvero la perdita totale di produttività, la desertificazione. Non ci sono le emergenze dell’Africa e l’alto rischio di degrado del suolo in Asia, Medio Oriente e Sudamerica, ma ci sono, anche, aree ad alto rischio di desertificazione negli Stati Uniti, in Australia e in Europa, come spiega l’ISPRA, sottolineando: «Nell’Unione Europea i Paesi più coinvolti e che si sono dichiarati affetti da fenomeni di desertificazione e da effetti della siccità sono senza dubbio quelli del ‘Bacino Mediterraneo’: oltre l’Italia, Spagna, Portogallo, Grecia, Croazia, Cipro e Malta, ma non sono immuni da analoghi fenomeni Ungheria, Slovenia e Romania.».
Se il Bacino del Mediterraneo è a rischio, l’Italia sembra essere un fronte particolarmente critico, come sottolinea l’ISPRA, spiegando: «Anche l’Italia presenta evidenti segni di degrado, che si manifesta con caratteristiche diverse in circa il 28% del territorio, principalmente nelle regioni meridionali, dove le condizioni meteoclimatiche contribuiscono fortemente all’aumento del degrado e quindi alla vulnerabilità alla desertificazione a causa della perdita di qualità degli habitat, l’erosione del suolo, la frammentazione del territorio, la densità delle coperture artificiali, con significativi peggioramenti anche in aree del Nord, come in Veneto, Piemonte ed Emilia Romagna.».