Il lascito ereditario degli ultimi due anni trascorsi nell’incertezza della battaglia contro un subdolo nemico è un’emergenza niente affatto superata, come mostra il Rapporto civico sulla salute di CittadinanzAttiva, che evidenzia liste d’attesa raggiungere i due anni per una mammografia e un anno per un’ecografia, screening oncologici interrotti o sospesi in quasi 6 regioni su 10, salute mentale dimenticata e cittadini rinunciare alle cure per problemi economici.
di Piero Mastroiorio —
I dati del “Rapporto civico sulla salute. I diritti dei cittadini e il federalismo in sanità”, realizzato da Cittadinanzattiva, nel mostrare un ritardo allarmante le cui conseguenze sono ancora in divenire ed il lascito della pandemia è un’emergenza niente affatto superata, evidenziano come ci siano quasi due anni di attesa per una mammografia, un anno per fare un’ecografia o una tac, un anno per la visita diabetologica e per un intervento chirurgico, addirittura, sei mesi per un intervento oncologico e come ci siano state meno prestazioni sanitarie e meno ricoveri. In quasi 6 regioni su 10 sono stati interrotti o sospesi gli screening oncologici, in ritardo in oltre la metà dei territori regionali. Durante il 2021, oltre 1 cittadino su 10 ha rinunciato alle cure per problemi economici o per la difficoltà di accesso al servizio sanitario. Le coperture per i vaccini ordinari sono in calo.
Le segnalazioni arrivate dai cittadini, nel 2021, a CittadinanzAttiva, sono state quasi 14.000 e riguardano soprattutto liste di attesa per le cure ordinarie, ritardi nella erogazione degli screening e dei vaccini, carenze nell’assistenza territoriale, non hanno fatto altro che evidenziare un Sistema Sanitario, che fa acqua da tutte le parti, creando nei cittadini un senso di sconforto e paura, per le conseguenze future di tutti queste carenze e ritardi, come sottolinea la segretaria generale di Cittadinanzattiva Anna Lisa Mandorino: «Durante la pandemia abbiamo fatto i conti con una assistenza sanitaria che, depauperata di risorse umane ed economiche, si è dovuta concentrare sull’emergenza, costringendo nel contempo le persone a “rinunciare” a programmi di prevenzione e di accesso alle cure ordinarie. Ancora oggi abbiamo la necessità di recuperare milioni di prestazioni e i cittadini devono essere messi nella condizione di tornare a curarsi.
Allo stesso tempo, la pandemia, ha evidenziato anche alcune priorità di intervento, prima fra tutte quella relativa alla riorganizzazione dell’assistenza territoriale, oggetto di riforma con il PNRR e di acceso dibattito. Tuttavia, occorrerà una lettura attenta dei contesti territoriali, individuando percorsi e non solo luoghi che favoriscano servizi più accessibili e prossimi ai cittadini, puntando molto sulla domiciliarità come luogo privilegiato delle cure, per avere maggiore attenzione alla qualità della vita. La carenza di servizi, la distanza dai luoghi di cura, tipica di alcune aree del Paese, come pure la complessità delle aree urbane e metropolitane, impongono un’innovazione dei modelli organizzativi sanitari territoriali.».
Le liste di attesa, già croce e dolore della Sanità nazionale, in tempi ordinari, durante l’emergenza sono state il problema principale per i cittadini, soprattutto per i più fragili che non sono riusciti ad accedere alle prestazioni, come dice CittadinanzAttiva: «I lunghi tempi di attesa, che rappresentano il 71,2% delle segnalazioni di difficoltà di accesso, sono riferiti nel 53,1% di casi agli interventi chirurgici e agli esami diagnostici, nel 51% alle visite di controllo e nel 46,9% alle prime visite specialistiche. Seguono le liste d’attesa per la riabilitazione (32,7%) per i ricoveri (30,6%) e quelle per attivare le cure domiciliari-ADI (26,5%) e l’assistenza riabilitativa domiciliare (24,4%).».
Una volta sospese le cure considerate non di emergenza e “salva vita”, inutile dire che a salvare una vita, spesso, sono le diagnosi prese in tempo, si sono allungati all’infinito i tempi di esami, visite e finanche interventi chirurgici. I tempi massimi di attesa che Cittadinanzattiva segnala nel 2021 sono 720 giorni per una mammografia, 375 giorni per un’ecografia, 365 giorni per una tac, 180 giorni per una risonanza magnetica. Ancora: 362 giorni per una visita diabetologica, 300 giorni per visita endocrinologica, reumatologica, dermatologica e 270 giorni per una visita oculistica. Per gli interventi chirurgici l’attesa è lunga: si segnalano tempi massimi di attesa di 365 giorni per un intervento cardiologico, 360 giorni per un intervento ortopedico e di 180 giorni per un intervento oncologico.
Il monitoraggio svolto attraverso le sedi regionali mostra una situazione molto critica quasi ovunque, come si legge nel report, ed è «sconfortante anche l’esito delle verifiche relative ai percorsi di tutela attivati dalla Regione/ Asl per arginare il fenomeno delle liste bloccate. Tali percorsi risultano attivi solo in Basilicata, Marche, Trentino Alto Adige ed Umbria, nessuna misura sembra attivata in Liguria, Lombardia, Molise, Puglia, Sardegna e Toscana. Nessun dato è disponibile per le altre regioni, a conferma di quanto sia urgente introdurre misure di maggiore trasparenza sul blocco delle liste d’attesa.».
Stando alle analisi della Corte dei Conti e dell’Agenas-Sant’Anna di Pisa, fra il 2019 e il 2020 la specialistica ambulatoriale ha visto una riduzione di oltre 144.500.000 di prestazioni e i ricoveri totali erogati nelle strutture pubblico o private si è ridotto di circa 1.775.000 prestazioni, – 21%, 14,4% di quelli urgenti e – 26% degli ordinari. Nell’area oncologica, tra 2019 e 2020 c’è stata una riduzione di circa 5100 interventi chirurgici per tumore alla mammella (-10% a livello nazionale, con punte del 30% in Calabria); circa 3000 interventi in meno per tumore al colon retto, pari a meno 17,7% a livello nazionale, la riduzione maggiore nella Provincia Autonoma di Trento con un meno 39,6%; circa 1700 interventi chirurgici in meno per tumore alla prostata, in particolare in Basilicata con meno 41,7%, in Sardegna con meno 39,6% e in Lombardia con meno 31,1%.
Ritardi e difficoltà di ogni tipo hanno portato oltre 1 cittadino su 10 a “mollare”: nel 2021 l’11% delle persone ha detto di aver rinunciato a visite ed esami per problemi economici o legati alle difficoltà di accesso al servizio, come si evince dal Rapporto Bes Istat 2021, mentre per il 19,7% delle segnalazioni ricevute da Cittadinanzattiva, su un totale di 13.748, riguardano proprio le difficoltà d’accesso alla prevenzione, in particolare alle vaccinazioni Covid (75,7%), a quelle ordinarie (15,6%) e agli screening oncologici (8,7%). Per il 57% delle regioni si segnala la sospensione/interruzione del normale svolgimento degli screening per tumore alla mammella, alla cervice, al colon retto. La sospensione ha riguardato tutto il territorio delle Regioni in modo sistemico nel 78% dei casi, mentre nel 22% si segnalano sospensioni/interruzioni solo da parte di alcuni territori/ASL.
La situazione non è buona neppure sul fronte vaccini: spesa raddoppiata dal 2014 al 2020, passando da 4,8 a 9,4 € pro capite, ma in 6 regioni non raggiungono ancora la percentuale ottimale del 95% nella copertura dell’esavalente, secondo l’ultimo dato del Ministero della Salute risalente al 2019. Per il vaccino contro il morbillo, la copertura del 2020 mostra un generale peggioramento passando dal 94,5% al 92,7%. Le regioni più virtuose che superano il 95% sono solamente Lazio, Toscana e Provincia Autonoma di Trento, i punteggi peggiori si registrano in Abruzzo (62,16%) e nella Provincia Autonoma di Bolzano 77,12%. Rispetto alla copertura vaccinale per la varicella, il dato è stabile (90,5% del 2019, 90,3 del 2020), meglio nel Lazio (95,2%), Veneto (93,4%) e Provincia Autonoma di Trento (92,7%). Le regioni che presentano percentuali inferiori sono: Abruzzo (55,6%), la Provincia Autonoma di Bolzano (75,7%) e Valle D’Aosta (87,3%).
Altra considerazione drammatica, per il presente e per il futuro, riguarda la salute mentale, come spiega Cittadinanzattiva: «Tanto evocata, tanto dimenticata, la salute mentale, da tempo trascurata e sotto finanziata dai governi di tutto il Mondo, ha ricevuto il colpo di grazia con la pandemia e il PNRR vi dedica poca attenzione. Con il paradosso che proprio quando i disturbi mentali aumentano, in Italia a farne le spese sono, più che in passato, i giovani tra i 18 e i 34 anni, con i servizi sanitari a loro dedicati in diminuzione.». Le problematiche segnalate dai cittadini a CittadinanzAttiva, in tema di salute mentale, sono il 12,8% delle segnalazioni nell’ambito dell’assistenza territoriale e «narrano della disperazione per la gestione di una situazione ormai diventata insostenibile a livello familiare (28%), della protesta per la scarsa qualità dell’assistenza fornita dai Dipartimenti di Salute Mentale (24%), delle difficoltà di accesso alle cure pubbliche (20%), nell’incapacità di gestire gli effetti collaterali delle cure farmacologiche (12%), nello strazio legato alle procedure di attivazione del trattamento sanitario obbligatorio (8%).».