La 5^ indagine sulla ‘Qualità del Lavoro’, portata a termine dall’ INAPP, condotta su oltre 15.000 occupati e 5.000 aziende del territorio nazionale, rivela come le imprese che hanno puntato su innovazione, cambiamento organizzativo e buona gestione delle risorse umane siano riuscite a costruire una ‘fortezza virtuosa’ capace di resistere agli shock e di generare un’elevata qualità del lavoro.
di Piero Mastroiorio —
L’ultima ricerca sulla qualità del lavoro in Italia, dal titolo V Indagine INAPP sulla “Qualità del lavoro” che ha coinvolto oltre 15.000 occupati, sopra i 17 anni e 5.000 imprese sul territorio nazionale, condotta dai ricercatori dell’INAPP, Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche, su imprese e lavoratori, colloca il nostro Paese in una sorta di ‘terra di mezzo’ tra quelli dove la qualità del lavoro è più elevata, come i paesi scandinavi, ma, anche, Germania, Austria, Svizzera e i paesi dell’Est Europa che sono in fondo alla classifica soprattutto per una scarsa protezione nel mercato del lavoro e dell’ambiente lavorativo (dati OCSE, Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico). In particolare, il 24% dei lavoratori italiani percepisce a rischio la propria salute sul posto di lavoro, questo aspetto risulta più preoccupante nel Mezzogiorno (28%) e tra i dipendenti pubblici (30%). Inoltre, più di un terzo dei lavoratori (37%) dichiara di non avere alcuna flessibilità rispetto all’orario, questo aspetto risulta addirittura più marcato tra le donne (42%) specialmente se dipendenti nel pubblico (50%). Un ulteriore elemento critico evidenziato dai lavoratori italiani riguarda l’immobilismo nelle carriere professionali, che coinvolge il 69% degli occupati e presenta valori addirittura maggiori tra i dipendenti pubblici e tra i giovani 18-34enni (73%). A Tutto ciò si aggiunge una crescente routinizzazione delle attività lavorative, che riguarda in particolar modo i lavoratori del Mezzogiorno, dove il 71% degli occupati dichiara di svolgere attività prevalentemente ripetitive e coloro (68%) incardinati in realtà produttive di piccolissime dimensioni, 1-5 lavoratori.
«I risultati dell’indagine dimostrano come le imprese che hanno puntato su innovazione, cambiamento organizzativo e buona gestione delle risorse umane sono riuscite a costruire una ‘fortezza virtuosa’ capace di resistere agli shock e di generare un’elevata qualità del lavoro. Sono, infatti, le imprese capaci di coniugare condivisione e partecipazione delle attività, elevata flessibilità organizzativa, propensione allo smart working e forte orientamento all’innovazione e al cambiamento, che hanno pagato meno lo scotto della recente crisi sanitaria: solo l’11% di esse dichiara di aver subito forti effetti negativi dalla crisi per l’emergenza Covid, rispetto ad una incidenza media nazionale pari quasi al doppio (21%). Le imprese “tradizionali” sono invece quelle che hanno subito gli effetti maggiori», ha detto, nell’introduzione e presentazione della ricerca, lo scorso 18 gennaio 2023, il presidente dell’INAPP, prof. Sebastiano Fadda, a Roma, durante la giornata di studi presso l’Auditorium dell’Istituto.
Nella ricerca si sottolinea come per aumentare la qualità del lavoro bisogna migliorare la gestione delle risorse umane e puntare sull’innovazione. Chi lo ha fatto, parliamo dell’8% delle imprese italiane, ha visto accrescere la propria competitività nei mercati e contemporaneamente la qualità del lavoro per i propri dipendenti. Sono le imprese “smart” (intelligenti), come ribattezzate dall’INAPP, imprese che si caratterizzano anche per un’ampia partecipazione sia nella pianificazione delle attività, 54,1% dei casi, che nella discussione dei cambiamenti organizzativi, 73,6% e attenzione al tema del life work balance, l’81% delle imprese ritiene responsabilità dell’azienda la conciliazione vita privata-lavoro, per le quali, la qualità del lavoro non costituisce un costo, piuttosto un volano. Tra le imprese “smart” l’introduzione di cambiamenti e innovazioni ha generato nel 85% dei casi un incremento della produttività e nel 78% di fatturato, ma anche, in circa il 70% dei casi, un aumento sia del benessere che della motivazione dei lavoratori. In queste aziende, inoltre i lavoratori hanno una maggiore stabilità lavorativa, nel 91% di esse non sono presenti lavoratori a tempo determinato, e nel 78% dei casi il precariato porta alla successiva stabilizzazione.
Oltre alle smart, dallo studio INAPP, emergono altre tre categorie di imprese: le “tradizionali di qualità”, pari al 50% delle imprese italiane, con un elevata consistenza di lavoratori permanenti, una bassa propensione allo smart working e un discreto livello di innovazione; le “ibride”, caratterizzate da un elevato livello di lavoratori a tempo determinato e una bassa propensione al lavoro agile delle attività, pari al 20% delle imprese italiane e, infine, le “resilienti” sia in termini di gestione delle risorse umane che d’innovazione, pari al 16% delle imprese italiane.