MOVIMENTO LOTTIAMO INSIEME: «Nel complice silenzio “sindacale”, ‘Lottiamo Insieme’ invita pubblicamente le Istituzioni e Poste Italiane a fare scelte consapevoli e rispondenti all’esigenza di garantire piena ed effettiva tutela dei diritti dei lavoratori. Augurandosi che la situazione appena descritta possa costituire un’occasione per riaffermare la centralità della dignità del lavoro, a beneficio di tutti i cittadini. Di recente, il caso, tenuto accuratamente lontano dai riflettori, è approdato in Parlamento. Con discrezione e senza clamore. In fin dei conti, questa volta è lo Stato a violare le sue stesse leggi!».
di Redazione —
Pubblichiamo, integralmente, la lettera aperta, firmata da 244 lavoratrici e lavoratori, di Poste Italiane, indirizzata, dal Movimento Lottiamo Insieme, alla comunità civile, alle istituzioni e agli organi di stampa, avente ad oggetto la precarietà dilagante in Poste Italiane, in cui si legge:
«Precarietà vuol dire vivere in uno stato di costante incertezza economico sociale che abbraccia e cambia ogni aspetto dell’esistenza quotidiana, generando emozioni negative quali rabbia, angoscia, disperazione. Appare evidente come questo possa compromettere la possibilità di progettare un futuro. Ma significa anche maggiori profitti per le imprese, perché un lavoratore precario è un lavoratore fragile e ricattabile, propenso a rinunciare alle proprie legittime pretese nel timore di non essere riconfermato alla scadenza del contratto.
La più grande azienda pubblica del Paese, Poste Italiane, dichiara di promuovere uno “sviluppo sostenibile orientato al benessere dei dipendenti”, però ogni anno assume migliaia di giovani precari usa e getta da destinare alle attività di smistamento e consegna della posta. Sono i cosiddetti CTD, coloro che vengono assunti con contratti a tempo determinato, costretti solitamente a spostarsi di centinaia di chilometri da dove risiedono e a farsi carico di spese di locazione non indifferenti, anche solo per brevi periodi. L’occasione di entrare a far parte della grande azienda, prospettata attraverso un’incessante campagna di propaganda, presto si riduce a fugace, e per di più illusoria, esperienza lavorativa. Può durare, infatti, sino a un massimo di dodici mesi.
Successivamente, la possibilità di ottenere il tanto declamato posto fisso ruota intorno a una procedura di stabilizzazione che si avvale di graduatoria. Formulata in base al numero di giorni di servizio prestati e aggiornata di regola senza tenere conto del diritto di precedenza. Così da favorire l’instaurarsi di logiche clientelari! Circa diecimila persone sono attualmente presenti in questa sorta di limbo senza speranza. La maggior parte si è vista scavalcare da colleghi che hanno avuto la “fortuna” di raggiungere il fatidico traguardo dei 365 giorni di durata contrattuale.
Poste Italiane ha assunto ben 90.000 lavoratori a tempo determinato dal 2017 a oggi. Provvedendo a stabilizzare a malapena 12.500 risorse nel medesimo periodo. Molte delle quali attraverso forme occupazionali flessibili che si traducono in salari bassi e situazioni di vita difficili. Basti pensare all’ampio ricorso al part time, soprattutto tra le lavoratrici femminili: non è una libera scelta, bensì il risultato di condizioni di lavoro sfavorevoli risultanti da un metodo di sviluppo orientato alla massimizzazione del profitto. Sono tantissimi, ma restano invisibili i precari delle Poste in quanto è necessario maturare almeno sei mesi di servizio per inseguire il sogno del posto fisso e, dunque, accedere alla graduatoria.
Come avrete intuito, nel gioco dell’oca della precarietà griffato Poste il traguardo è precluso a molti. La probabilità di ottenere il doppio sei che garantirebbe l’integrazione a tempo indeterminato varia per ciascuna persona. A differenza delle dure condizioni di lavoro simili ovunque. Orari estenuanti, scarsa sicurezza, straordinari non pagati, sono gli elementi ricorrenti nelle storie raccontate dai giovani precari di Poste Italiane. Si trovano, in sostanza, costretti a lavorare sotto il ricatto della mancata riconferma qualora non completassero le consegne previste. Motivo per cui spesso accettano di prestare più ore di lavoro rispetto a quanto stabilito senza ricevere alcun compenso aggiuntivo. Cioè, a titolo gratuito e in nero!
Innescare una guerra tra poveri in cui va avanti chi più sopporta e resiste, quindi è molto redditizio. Poste Italiane non gioca a dadi con i precari, ci vien da dire. Ma avrebbe la possibilità di conseguire un ingiusto vantaggio nel ricorrere al lavoro temporaneo. Pur rispettando la proporzione tra lavoratori stabili e a termine presenti in organico, quest’ultimi sono concentrati sulle figure di addetti allo smistamento e portalettere. Ne consegue che nell’ambito del solo settore del recapito l’azienda dovrebbe assumere stabilmente personale. Al contrario, continua ad approfittare di una normativa a maglie larghe per i contratti a termine, utilizzabili entro l’anno senza dover motivare le ragioni – di natura transitoria – che legittimano la sottoscrizione degli stessi.
Negli ultimi tempi le lavoratrici e i lavoratori precari delle Poste hanno dato vita a un vero e proprio movimento di protesta, «Lottiamo Insieme», per dare voce e speranza all’esasperazione di migliaia di donne e uomini, soprattutto giovani, prigionieri nel limbo dell’incertezza. Il «metodo Poste» alimenta precariato e produce sfruttamento, in maniera non dissimile da quanto accade nei sistemi di caporalato. È fondamentale, pertanto, intraprendere un deciso cambio di rotta che può avvenire in un’unica direzione: promuovendo l’occupazione stabile e dignitosa, preferibilmente attingendo alle risorse selezionate, formate e utilizzate già in precedenza. Ciò in senso conforme allo spirito della nostra Costituzione.
Nel complice silenzio “sindacale”, ‘Lottiamo Insieme’ invita pubblicamente le Istituzioni e Poste Italiane a fare scelte consapevoli e rispondenti all’esigenza di garantire piena ed effettiva tutela dei diritti dei lavoratori. Augurandosi che la situazione appena descritta possa costituire un’occasione per riaffermare la centralità della dignità del lavoro, a beneficio di tutti i cittadini. Di recente, il caso, tenuto accuratamente lontano dai riflettori, è approdato in Parlamento. Con discrezione e senza clamore. In fin dei conti, questa volta è lo Stato a violare le sue stesse leggi!».