Fredda cerimonia di commemorazione dei morti di Covid a un anno dal passaggio dei convogli militari di Bergamo. Un albero della memoria non riesce a sostituire il valore universale della Croce, mentre servirebbe un’operazione verità sui decessi per onorare davvero le vittime e ammettere che molte di loro potevano essere salvate con cure tempestive mentre tanti conteggiati come morti di Covid sono morti di tutt’altro.
di Andrea Zambrano – La bussola Quotidiana
La prima giornata di commemorazione delle vittime del Covid si è svolta nell’indifferenza più completa. Alle quattro di pomeriggio, la notizia dell’evento di Bergamo, la città scelta da presidente del Consiglio, Mario Draghi, per presenziare, era già in fondo ai notiziari e prim’ancora che arrivasse il responso dell’EMA al vaccino Astrazeneca, tra le notizie dominavano i sedici membri del direttivo PD scelti da Enrico Letta.
Cerimonia strana, fredda e strana, quella andata in scena al Parco Martin Lutero di Bergamo per ricordare le vittime del coronavirus e piantare un tiglio che costituirà il primo albero del bosco della memoria.
Strana, come il fatto, che, di solito, si commemorano i morti di un evento tragico quando l’evento è finito e i morti si possono contare, ma i morti di Covid ci sono ancora e sono il numero principale che il governo tiene sott’occhio per costringerci ancora chiusi in casa. Verrebbe da chiedere se il bosco della memoria conterrà il ricordo anche di coloro i quali devono ancora morire, i morituri di covid. Sarebbe la prima volta che realizziamo una commemorazione per qualcosa che dovrà ancora avvenire.
Fredda, non solo per la giornata e gli alberi spogli di fronte all’Ospedale Papa Giovanni che si scorge in lontananza, ma per il rituale scelto, asettico e glaciale. Con la tromba di Paolo Fresu ad accompagnare. Bravo, certo, ma non adatto ad una cerimonia solenne dove si dovrebbero prediligere musiche più patriottiche, o magari sacre. Musiche che uniscano in un sentimento chi le ascolta e non brani sconosciuti fatti per accompagnare che potrebbero andare bene anche nei locali al termine della serata jazz e mentre i camerieri sparecchiano.
Su tutto domina la retorica del bosco e si sprecano le citazioni con le similitudini più acconce: le radici profonde, i germogli di nuova vita, il bosco che sopravvive all’uomo. Una retorica sciapa che non arriva al cuore, non fa pensare alla morte né alla sofferenza. Ci voleva una croce, perché è sulla croce che l’uomo pianta sulla terra il suo punto finale ed è sulla croce che l’uomo alla fine va a schiantarsi come termine ultimo e primo di vita nuova. Il suo significato è universale.
La croce non piace ai sindaci, ai governatori, ai premier perché non è abbastanza inclusiva, non è rispettosa delle sensibilità di tutti, non è politicamente corretta, è ancora scandalo e follia, dopo 2000 anni. Eppure, la croce è l’unica cosa che i morti di Bergamo hanno abbracciato quando sono stati lasciati soli a morire, senza sacramenti, senza funerali, senza conforti di parenti vicini e senza pietose sepolture.
L’abbiamo dimenticato?
Le bare portate via dai camion dell’esercito, che ieri venivano evocate come monito tetro e funereo, erano le bare di poveretti morti il più delle volte senza assistenza adeguata, chiusi in fretta e furia senza autopsia, senza una benedizione, senza un riconoscimento da parte dei famigliari, cremati senza nemmeno il volere dei diretti interessati. Morti fatti sparire velocemente. Oggi ricordati genericamente con una piantina di tiglio.
Eppure, se volessimo davvero commemorare i morti di Covid dovremmo avere l’onestà, a cominciare dal governo, di fare chiarezza su quelle morti. Tantissimi medici hanno ammesso che il numero dei morti per Covid ha incluso anche persone morte di altro e trovate positive al momento del decesso, persino gli annegati in mare sono stati inclusi nel novero funesto.
Sappiamo inoltre che più del 60% delle vittime di Covid in ospedale, poteva essere salvata e, oggi può essere salvata, se si fosse messa in campo una terapia domiciliare tempestiva, capillare e adeguata, ma siamo ancora nel Paese in cui il curare il Covid precocemente non ha attecchito, mentre tanti ancora devono andare in ospedale perché tenuti a casa in vigile attesa.
C’è una frase del discorso di Mario Draghi che fa riflettere: «Non accadrà più che le persone fragili non vengano assistite e protette». Un’ammissione? Perché non accada più bisognerebbe davvero fare verità e riconoscere che tante morti potevano essere evitate facendosi carico di un protocollo di cure precoci, serio, per tenere lontana la gente dagli ospedali e concentrarsi sulle cure.
Solo così si onorerebbero i morti.
Tutto questo, a più di un anno dall’inizio della pandemia, manca, mentre tutto intorno si parla della speranza del vaccino, totem che assieme alla fiducia nella scienza, è risuonato più volte nel corso della fredda cerimonia. Senza croce, ma col vaccino e la fiducia nella scienza. L’uomo nuovo cerca alberi e salute, ma trova solo il nulla dei suoi nuovi idoli.