FADDA: «Il problema investe in generale la regolazione dei tempi di lavoro. Si rischia di erodere e snaturare significativamente le esigenze di vita. È urgente avviare una seria riflessione sull’organizzazione e articolazione del tempo di lavoro, ma anche sulla sua quantità e distribuzione.».
di Piero Mastroiorio —
L’ultima indagine sul lavoro dipendente portata a termine dall’INAPP, Istituto Nazionale per le Politiche Pubbliche, dal titolo “INAPP PLUS, Participation, Labour, Unemployment Survey”, che ha visto il coinvolgimento di 45.000 lavoratori tra i 18 ed i 74 anni, conclusa nel 2022, il cui Rapporto finale verrà presentato prossimamente nella sede dell’Istituto, rivela come un lavoratore dipendente su sei (15,9%) fa straordinari non retribuiti. Un dato preoccupante, se consideriamo che gli straordinari interessano sei occupati su dieci (60%), in maggioranza uomini (64,7% contro il 54,1% delle donne). Le motivazioni sono di vario tipo: nella maggior parte dei casi (51,2%) per carichi di lavoro eccessivi o carenza di personale, nel 18,4% per guadagnare di più, con un 8,1% che dichiara di non potersi rifiutare.
Il problema degli straordinari, tuttavia, si inscrive nel più generale tema della regolazione dei tempi di vita e di lavoro che vedono emergere un dato allarmante: circa la metà degli occupati svolge la propria attività in orari che si potrebbero definire antisociali. Nello specifico, il 18,6% dei dipendenti lavora sia di notte che nei festivi, circa 3.200.000 di lavoratori, con il 9,1% che lo fa, anche, il sabato e i festivi, ma non la notte, mentre il 19,3% anche la notte, ma non di sabato o festivi. Gli uomini sperimentano di più sia il solo lavoro notturno, sia quello svolto sia di notte che nei festivi, le donne, invece sono impegnate più il sabato o nei festivi., come spiega il presidente dell’INAPP, professor Sebastiano Fadda: «Spesso la domanda di lavoro richiede disponibilità che confliggono con le esigenze di vita. È vero che per alcuni settori economici, come il commercio o la sanità e, per alcune professioni, come quelle dei servizi, il lavoro notturno o nei festivi è connaturato alla natura della prestazione, ma è anche vero che questa modalità sembra diffondersi, anche, dove non è strettamente necessaria. È urgente avviare una seria riflessione sull’organizzazione e articolazione del tempo di lavoro, ma anche sulla sua quantità e distribuzione.».
Non solo, c’è anche chi sta peggio: quei lavoratori che sperimentano allo stesso tempo sia un orario ridotto, non per scelta, sia la presenza di orari antisociali. Si tratta di circa 900.000 dipendenti che, oltre ad avere un part time involontario, svolgono la propria attività la notte o nei festivi, quasi il 52% di chi ha un part time involontario e oltre il 27% sul totale degli occupati part time. A questi lavoratori subordinati, vanno aggiunti molti lavoratori autonomi i cui i tempi di lavoro sono molto impegnativi, perché legati all’esigenza della clientela. Un modo di lavorare che è particolarmente oneroso, soprattutto, per coloro che devono far fronte a carichi di cura, perché si concentra in momenti in cui non sono disponibili i servizi e, comunque, in generale costituisce uno sfasamento rispetto agli orari diffusi tra la maggioranza della popolazione.
«Mentre altrove si discute e si avviano sperimentazioni di orario ridotto o settimana corta, nel nostro Paese restano, ancora, da superare vecchi modelli di organizzazione del lavoro che incidono pesantemente sui tempi di vita. Il mondo del lavoro è sempre più digitale, veloce, in costante evoluzione, ma per gran parte dei lavoratori “tradizionali” si presentano problemi, ancora, irrisolti sul piano della distribuzione degli orari di lavoro. La permanenza di usi e abitudini del passato prevale spesso sulla capacità di trovare soluzioni organizzative equilibrate, sia in termini di turnazione ove necessario, sia in termini di alleggerimento del peso dei vincoli di orario in generale, che consentano un bilanciamento sostenibile tra vita di lavoro e vita privata-sociale nella prospettiva del “lavoro dignitoso”. Eppure, la combinazione di nuove tecnologie, elevate competenze e appropriati modelli organizzativi dovrebbe generare livelli di produttività che non rendano necessari tempi di lavoro “disumani”, ma garantiscano occupazioni di qualità: ben retribuite, tutelate, ad alta produttività», puntualizza il prof. Fadda.
Il Rapporto svela, anche, una certa rigidità si registra anche sul fronte dei permessi: il 21,3% degli occupati, circa 4.700.000 lavoratori, dichiara di non poter o non volere prendere permessi per motivi personali, il 54,8% può prenderli e il restante 23,9% può modulare l’impegno lavorativo. Gli uomini hanno una maggiore autonomia, mentre per le donne si evidenzia la pressione di un contesto che disincentiva l’uso dei permessi. Sono soprattutto gli autonomi, che svolgono la propria attività in condizione di para-subordinazione, a dichiarare, che, nei propri contesti di lavoro, o non sono previsti permessi, o non è ben visto prenderli.
Non manca, nel Rapporto, il riferimento ai sottoccupati, ovvero, gli occupati che vorrebbero lavorare un maggior numero di ore rispetto a quelle effettivamente svolte. Questa sottoccupazione è più presente tra le donne, anche, per la maggiore concentrazione della componente femminile nel part-time, tra i lavoratori con bassi titoli di studio, tra i residenti nel Nord-Ovest, Sud e Isole, nonché, per chi svolge la propria attività in aziende di piccole dimensioni.