Due indagini nazionali, ‘Osservatorio Mutamenti Sociali in Atto Covid-19‘, pubblicate sulla rivista “European Review for Medical and Pharmacological Sciences“, condotte dall’IRPPS-CNR, mostrano le reazioni indotte dagli stereotipi di genere in condizioni di stress sociale e individuale.
di Piero Mastroiorio
Lo scorso 16 aprile 2020 l’osservatorio Mutamenti Sociali in Atto-COVID19” (MSA-Covid19, un progetto dell’IRPPS-CNR, Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali del Consiglio nazionale delle ricerche, realizzato in collaborazione con l’INGV, Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, e la Fondazione Movimento Bambino ONLUS, attraverso un sondaggio diffuso su scala nazionale, esplorava ed analizzava gli effetti psico-sociali della contrazione dell’interazione, della prolungata convivenza e del distanziamento sociale dovuti all’emergenza Covid-19.
I primi risultati dello studio forniscono informazioni circa la condizione abitativa, relazionale e lavorativa, analizzando nello specifico le attività quotidiane, l’uso di internet e l’iperconnessione, la violenza domestica, la fiducia sistemica e gli stati psicologici.
Il 73,1% dei rispondenti ha in questo momento un partner, con cui convive per il 56,7%, a fronte del 13% di persone che abitano sole. Circa la metà degli intervistati vive con almeno 2 o 3 persone.
Il 49,3% è impiegato a tempo pieno e per il 24,9% dei soggetti l’attività lavorativa è sospesa. Tra i rimanenti lavoratori, il 23,4% opera in smart working e il 10,8% si reca sul posto di lavoro.
Circa 4 persone su 10 prevedono di andare incontro a gravi perdite economiche, più di una su 10 di perdere il lavoro o la propria attività, e due su 10 di andare in cassa integrazione. Il titolo di studio risulta un importante salvagente della tenuta lavorativa. Il rischio di non riuscire a far fronte anche alle esigenze alimentari nei prossimi giorni è concreto per circa 3 persone su 10, soprattutto nel centro e sud Italia.
Si evidenzia un’elevata quota di incertezza per il futuro, che riguarda in particolare le donne, il 44,9% contro il 31,1% degli uomini, e chi possiede un titolo di studio medio-basso. Si evidenziano condizioni di disagio connesse all’assenza dell’interazione sociale, l’aumento di stati depressivi, disturbi di tipo alimentare e legati all’abuso del digitale e dell’alcool. Sui minori di 12 anni, il distanziamento sta producendo un disagio dovuto al distacco da amici e nonni, rispettivamente 64,5% e 47,5%, e un rilevante abuso di internet a scopo di gioco e comunicazione, rispettivamente 33,5% e 19,2%.
Dopo questa ricerca l’IRPPS-CNE, l’Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali del Consiglio nazionale delle ricerche, nell’ambito dell’Osservatorio Msa-Covid-19, in collaborazione con l’Università Süleyman Demirel di Isparta (Turchia), ha condotto, tramite un approccio psicosociale, un’indagine in Italia e Turchia nei periodi di lockdown tra marzo e luglio 2020. Lo studio, pubblicato sulla rivista European Review for Medical and Pharmacological Sciences, dimostra come l’invasività degli stereotipi di genere sui comportamenti e sul benessere individuale sia correlata al contesto sociale di riferimento.
«In Turchia, l’adesione agli stereotipi di genere, decisamente più radicata che in Italia, impone rigidi ruoli sociali di pertinenza maschile e femminile ancora ampiamente condivisi. Dalla nostra indagine è emerso che tale adesione ha avuto, paradossalmente, durante il lockdown, effetti positivi sul benessere individuale, fino a configurarsi come un luogo di rifugio in risposta alla crisi da COVID19. Le emozioni primarie negative, come rabbia, disgusto, paura, ansia e tristezza, sono risultate in questo contesto contenute. In Italia, l’esistenza di ruoli di genere che implicano la subordinazione sociale delle donne, al contrario, è da tempo messa in discussione. Quindi, l’adesione a questi condizionamenti sociali si configura come un fattore di rischio individuale che accentua le emozioni primarie negative e incrina il clima familiare», spiega Antonio Tintori ricercatore del IRPPS-CNR, tra gli autori dello studio.
Dall’analisi comparativa è emerso inoltre come la differenza nella diffusione degli stereotipi di genere sia connessa anche a caratteristiche sociali, religiose, storiche e politiche dei due Paesi, come precisa Tintori: «La percentuale degli intervistati turchi che relega il ruolo della donna a madre e moglie ammonta al 68%, contro il 32% italiano. In entrambi i Paesi, l’adesione a questi stereotipi risulta più comune tra chi ha un titolo di studio basso e tra i credenti (in Turchia l’86% del campione, in Italia il 55%). La diffusione di tali stereotipi in Turchia è però talmente ampia che non denota differenze sostanziali in termini di genere, età e condizione occupazionale. Al contrario, in Italia, ne sono relativamente meno condizionate le donne e i più giovani, la cui percentuale di soggetti stereotipati ammonta rispettivamente al 26% e al 21%.».
Guardando alle attività quotidiane, è stato riscontrato come la ripartizione delle attività domestiche nel corso del lockdown, in particolare in Turchia, abbia seguito una rigida routine di genere correlata all’adesione a questi stereotipi, il cui impatto si è riflettuto anche sul clima familiare, come spiega il ricercatore dell’ IRPPS-CNR, Tintori: «In Turchia, i soggetti stereotipati hanno dichiarato di vivere in un’atmosfera familiare più pacifica, affettuosa e collaborativa rispetto agli altri intervistati. Analogamente, la percezione del rischio di violenza domestica durante il confinamento è stata inferiore tra le donne che aderiscono agli stereotipi sessisti: il rischio di violenza fisica è stato percepito solo dal 28,7% delle donne turche che aderiscono agli stereotipi di genere, contro il 45% di quelle che non vi aderiscono. In Italia, tale percezione è stata riscontrata nel 12% delle donne che aderiscono agli stereotipi di genere, contro il 21,8% di quelle che non vi aderiscono. Ciò conferma, in entrambi i Paesi, che l’accettazione dei ruoli di genere contempla la violenza come elemento fisiologico del rapporto di coppia e non come un problema.».
Dal punto di vista psicologico, l’influenza degli stereotipi sul benessere individuale presenta quindi risultati contrapposti nei due Paesi, come sottolinea, concludendo, il ricercatore dell’IRPPS-CNR, Tintori: «Durante il lockdown, le donne più degli uomini hanno percepito elevate emozioni primarie negative. Tuttavia, in Turchia, chi subisce la maggiore influenza degli stereotipi di genere presenta minori livelli di tali emozioni. Diversamente, in Italia, le emozioni negative sono risultate maggiori proprio tra chi aderisce a questi stereotipi. Si ipotizza che ciò sia dovuto all’ampliarsi della dissonanza cognitiva indotta dal processo di emancipazione culturale dal sessismo, che in Italia è in atto da anni mentre in Turchia è agli esordi.».