Il sindacato degli infermieri ‘Nursing Up’ riporta come tra il 10 agosto e il 10 settembre 2021 siano stati 1.848 gli operatori sanitari contagi, in massima parte infermieri e sottolinea: «Siamo di fronte, oggi, ad una potenziale riduzione dell’immunità per gli infermieri che si sono vaccinati tra gennaio e febbraio 2021. Servono decisioni risolutive.».
di Redazione —
«I dati dell’Istituto Superiore della Sanità sono inconfutabili e non possono passare, pericolosamente, sotto traccia. Non ci troviamo solo di fronte alla problematica, fin troppo sottovalutata, della non totale efficacia dei vaccini. Lo sapevamo, noi infermieri, quando abbiamo deciso di sottoporci, coscientemente, in massa, alle somministrazioni. Ne erano e ne sono a conoscenza i cittadini. Ma non ci vengano a dire, di fronte all’esplodere delle varianti, che è tutto sotto controllo e che dovevamo aspettarcelo», dice Antonio De Palma, presidente del sindacato degli infermieri Nursing Up, che lamenta come le ASL, nonostante apposite richieste, non abbiano fornito i dati relativi a quanti operatori sanitari abbiano poi sviluppato la malattia o si siano contagiati senza sintomi.
«Le Direzioni Sanitarie italiane chiariscano immediatamente quanto sta accadendo nelle ultime settimane nei loro ospedali. In particolare, nella Regione Lazio, le cronache giornalistiche, supportate dalle indagini interne dei nostri referenti, ci raccontano di situazioni non del tutto chiare – il riferimento è ai focolai nel Sant’Eugenio e dell’ospedale dei Castelli, con il reparto chirurgia chiuso a nuovi ricoveri. E un terzo focolaio è stato rintracciato nella Sala operativa del 118 di Palermo – Vogliamo comprendere fino a che punto gli infermieri già vaccinati si stanno ammalando di nuovo, vogliamo sapere se questa impennata di casi è stata presa in considerazione dagli organismi di vigilanza al fine di valutare la reale efficacia del vaccino. La terza dose per i sanitari, al momento, non ha una data fissata. L’ipotesi più probabile è che diventino fascia prioritaria dopo immunodepressi e over 80, con una attesa che, stando a ‘Il Sole24Ore’, dovrebbe durare ancora circa 3 mesi», sottolinea De Palma, che spiega, domandandosi: «Appare evidente che, alla luce dei nuovi contagi, siamo di fronte oggi ad una potenziale riduzione dell’immunità per gli infermieri che si sono vaccinati tra gennaio e febbraio 2021. Cosa stiamo aspettando a prendere decisioni risolutive, e soprattutto certe e valide per tutti?».
Un aspetto sul quale si sofferma anche il presidente della FIMMG, Federazione italiana dei medici di medicina generale, Silvestro Scotti: «Credo che la terza dose di vaccino anti-Covid andrebbe fatta a tutta la categoria del personale sanitario, ma molto dipenderà anche dai dati relativi alle reinfezioni dei sanitari visto che è la categoria che si è vaccinata per prima. È chiaro che se si rileva un aumento dell’incidenza dei casi tra i sanitari, allora la terza dose va sicuramente estesa. Bisogna cioè valutare il tasso di incidenza su questa categoria, e se questo tende a crescere nei prossimi mesi allora credo sia imprescindibile l’idea di fare la terza dose a tutti. Inoltre, al rischio legato alla mansione di lavoro aggiungerei comunque anche il rischio individuale: se ci sono cioè sanitari che hanno condizioni di età e cronicità che portano ad un rischio maggiore, a prescindere da dove lavorano andrebbero vaccinati con la terza dose, come i sanitari che lavorano nei reparti Covid. Come medici di famiglia chiediamo di essere considerati a parità di rischio di altri soggetti.».
De Palma, in fine, si chiede: «Se in un contesto tanto ristretto, cioè quello degli ospedali italiani, dove il rischio di imbattersi nel virus è superiore, in un solo mese il numero dei nuovi operatori sanitari infettatati è schizzato a quota 2.000 nonostante tutte le norme di prevenzione oggi applicate, dalle mascherina alle tute ed ogni quant’altro, cosa accadrebbe ai normali cittadini vaccinati, se ci fosse una recrudescenza di pervasività del Sars-Cov 2, e quindi se il virus tornasse a circolare, anche per poco tempo, nelle scuole, negli uffici o nei locali pubblici italiani dove non c’è lo stesso livello di utilizzo degli strumenti di prevenzione come invece accade nei nosocomi?».