di Piero Mastroiorio —

Lo scorso martedì, 3 dicembre 2024, presso la Biblioteca comunale di San Severo, con la conferenza “Le Radici del Ricordo – storia di una terra e del suo popolo“, organizzata dal Centro CRD per la Storia della Capitanata e dall’A.D.ES., Associazione Amici e Discendenti degli Esuli Istriani, Giuliani, Fiumani e Dalmati, si è parlato dell’esodo istriano, che ha segnato la fine della Seconda Guerra Mondiale e la conseguente annessione dell’Istria alla Jugoslavia, una delle pagine più dolorose e complesse della storia del Novecento, che ha visto gli esuli, costretti ad abbandonare le loro case, le loro terre e le loro radici, vivere un’esperienza di trauma e smarrimento che si è tradotta in un doppio esilio: fisico e psicologico.

Mentre l’Assessore alla Cultura, Anna Paola Giuliani, faceva il suo intervento di saluto, mi ponevo alcune domande, una era cosa fosse stato per una persona abbandonare la propria casa.
Per un esule istriano, l’abbandono della propria casa non è stato solo un allontanamento da un luogo fisico, ma anche una separazione da una realtà affettiva, culturale e identitaria. In quelle case, in quelle piazze, in quelle scuole, in quelle chiese, si concentravano memorie, tradizioni e legami che rappresentavano la vita stessa. Abbandonarle, senza sapere se mai vi si sarebbe potuti tornare è stato vivere un dolore profondo e spesso inesplicabile.

l’intervento dell’Assessore alla Cultura, Anna Paola Giuliani

Il dramma dell’esilio non può essere paragonato al semplice cambiamento di residenza, ma qualche cosa di più complesso: la sofferenza derivante dal perdere la propria Terra, ferita che si estende al cuore, alla memoria collettiva di una comunità. Gli esuli lasciando alle spalle le loro case, hanno lasciato, anche, il loro senso di appartenenza: un’identità che si era forgiata nei secoli, tra le contraddizioni e i conflitti di un territorio che era sempre stato al crocevia di culture diverse. Il distacco non ha riguardato solo la casa fisica, ma l’intera struttura che definiva la vita quotidiana.

I racconti degli esuli, spesso pieni di lacrime e silenzi, descrivono la sensazione di abbandono, non solo come esiliati da una terra amata, ma anche come traditi dal destino e dalla politica. La paura, l’incertezza del futuro, la fatica di dover ricostruire una vita da zero in un luogo sconosciuto e ostile, sono la tragedia degli esuli lontani dalle loro case, che in molti non hanno mai più rivedere. Il ritorno, per molti, nei luoghi, che un tempo chiamavano “casa“, è rimasto solo un sogno irraggiungibile.

Quando un esule istriano ha abbandonato la sua casa, non ha solo lasciato una casa fisica: ha lasciato una parte di sé. Un pezzo della propria identità, un frammento di storia che non tornerà più, con la consapevolezza di essere parte di una generazione che ha visto la sua vita svanire, distrutta dalle onde del cambiamento politico e dalle scelte di chi, senza considerarne le radici e le storie individuali, ha deciso il destino di interi popoli.

Nella mente di chi è costretto ad andarsene, non c’è solo il dolore della separazione, ma anche il tormento del non sapere se, mai, ci sarà la possibilità di tornare. La terra promessa, la casa abbandonata, diventano simboli di un passato che si dissolve lentamente, mentre si è costretti a vivere il presente in una condizione di incertezza e speranza che, troppo spesso, rimarrà infranta.

Credo, senza ombra di dubbio che, per un esule istriano, l’esilio non sia stato solo geografico, ma soprattutto emotivo: un viaggio nella memoria, un lungo cammino verso un domani incerto, con la nostalgia di una terra che si perde tra le nebbie del tempo e della distanza.

Altra domanda postami: cosa potrebbe significare essere esule istriano oggi? Potrebbe, sicuramente significare vivere un’identità intrinsecamente legata alla storia, ma al contempo proiettata nel presente e nel futuro. Il termine “esule” evoca un’esperienza di esilio forzato, che affonda le radici nelle drammatiche vicende del secondo dopoguerra, quando migliaia di italiani furono costretti a lasciare la loro terra d’origine, l’Istria, la Dalmazia e Fiume, a causa delle modifiche dei confini e della nascita del nuovo Stato jugoslavo. Molti di loro, costretti a fuggire, hanno trovato rifugio in Italia, ma anche in altre parti del Mondo, portando con sé non solo la memoria di una terra perduta, ma anche il dolore di una separazione forzata.

Altra domanda postami durante la conferenza riguarda il presente: oggi, a distanza di decenni, la comunità degli esuli istriani continua a confrontarsi con il ricordo di quegli eventi?
Non solo la risposta è affermativa, ma porta con sé la necessità di trasmettere la propria storia alle nuove generazioni. Il ricordo dell’esodo, le storie di sopravvivenza e resistenza, le testimonianze di coloro che hanno vissuto l’orrore della guerra e delle violenze del dopoguerra, sono ancora oggi elementi chiave per l’identità degli esuli e dei loro discendenti. Anche se, in un Mondo globalizzato e in continua evoluzione, la figura dell’esule istriano rischia di diventare sempre più un ricordo lontano. Le nuove generazioni, spesso prive di una connessione diretta con quella parte di storia, si trovano a dover fare i conti con una realtà in cui la memoria si fa più sfumata e le sfide legate all’identità culturale si fanno sempre più complesse.
L’esule istriano di oggi non vive più nell’isolamento, ma in un contesto che richiede l’integrazione, il dialogo e la condivisione della propria storia, anche a costo di preservare e rinnovare le tradizioni.

Le istituzioni, le associazioni culturali e le scuole si fanno carico di portare avanti la memoria storica, promuovendo iniziative, eventi e progetti educativi che permettano di mantenere viva la storia dell’esodo e dell’esperienza degli esuli, anche se la sfida maggiore resta, forse, quella di riuscire a trasmettere non solo il ricordo, ma, anche, i valori che quelle vicende ci insegnano: la solidarietà, l’amore per la propria terra e l’importanza della pace.

In conclusione, essere esule istriano oggi, non significa solo rievocare un passato doloroso, ma vivere con la consapevolezza di essere custodi di una memoria storica che, seppur lontana, ha ancora molto da insegnare alle generazioni future. La storia degli esuli istriani è una storia di resilienza, di ricostruzione e di speranza, che trova nella memoria condivisa e nell’identità collettiva il suo più grande valore.

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