MAMONE: «Concordiamo sulla necessità di un moderno mercato europeo dei servizi, con tutte le garanzie del caso. Ma per costruirlo occorrono modelli virtuosi, come ad esempio quello adottato da anni dai francesi: concessioni a 12 anni, criteri ecologicamente sostenibili con strutture smantellabili, attenzione per i disabili, adeguato riconoscimento economico allo Stato e tetto di occupazione delle spiagge con priorità al pubblico accesso.».
di Redazione —
Sono circa 27.000 le concessioni balneari in Italia per un totale di 19.200.000 di metri quadrati di spiaggia e un incasso per lo Stato di 103.000.000 di €, ma dal 1 gennaio 2024 dovrà tutto cambiare, in virtù principalmente del libero mercato, perché la Commissione europea dal 2009 sta chiedendo, a furia di moratorie e di infrazioni, che le spiagge siano messe a bando internazionale, rispetto al “tacito rinnovo” a lungo adottato nel nostro Paese e alla mancanza di concessioni per concorso. A mettere fine alla continua dilazione delle concessioni, l’ultima con la Legge di Bilancio 2018, che le aveva prorogate al 2034, è stato il Consiglio di Stato, che ne ha fissato la scadenza al 31 dicembre 2023.
Avvicinandosi quella data, la questione diventerà sempre più esplosiva: ci sono almeno 27.000 famiglie, ma in realtà sono molte di più, coinvolte nei contratti, che rischiano di vedere scomparire da un giorno all’altro il proprio business, che complessivamente è stimato in non meno di 2.000.000.000 di €, di cui lo Stato riceve appena il 5%.
«Lontani da tentazioni protezionistiche, va però evidenziato che la problematica è molto impattante, perché coinvolge un numero rilevante di piccole aziende, molte a carattere familiare», spiega Domenico Mamone, presidente del sindacato UNSIC, Unione nazionale sindacale imprenditori e coltivatori, sottolineando: «Ovviamente concordiamo sulla necessità di un moderno mercato europeo dei servizi, con tutte le garanzie del caso, ma per costruirlo occorrono modelli virtuosi, come ad esempio quello adottato da anni dai francesi: concessioni a 12 anni, criteri ecologicamente sostenibili con strutture smantellabili, attenzione per i disabili, adeguato riconoscimento economico allo Stato e tetto di occupazione delle spiagge con priorità al pubblico accesso. Insomma, da una parte occorre superare la situazione ricca di criticità che si è trascinata per anni, garantendo più trasparenza ed equità, finora l’Italia ha soltanto prorogato l’esistente, da qui le procedure d’infrazione, ma nel contempo sarà necessario che ai titolari storici delle concessioni sia assicurato un diritto di prelazione per non lasciare migliaia di famiglia in mezzo ad una strada.
Manca un’armonizzazione tra le diverse legislazioni nazionali, che la direttiva non ha il potere di imporre, e che lascia scettici sull’effettiva creazione di un unico mercato liberalizzato dei servizi balneari. In pratica, i regimi nazionali si avvicineranno, ma rimarranno separati ancora a lungo.
Ci vuole, quindi, innanzitutto, una legge che recepisca la direttiva.
Esiste un disegno di legge, tuttora piuttosto scarno essendo un progetto di legge delega che poi avrà decreti attuativi successivi, però stabilisce alcuni principi notevoli: il punteggio per le nuove concessioni favorirà le aziende preesistenti, con esperienza, e sfavorirà quelle che hanno già una o più concessioni: insomma si va costituire un meccanismo di selezione controllata che favorirà significativamente le realtà locali. Poi c’è il punto chiave dell’indennizzo: previsto in legge, garantirà la ‘buonuscita’ di coloro che rinunciano o perdono la concessione.
Inoltre il Ddl menziona una clausola sociale di tutela dell’occupazione e una serie di garanzie sulla remunerazione dell’investimento e l’ammortamento delle spese.
Occorrerà accompagnare il disegno di legge per arricchirlo, tenendo conto di alcuni punti fermi: tutela delle piccole aziende e delle aziende a conduzione familiare e difesa dei modelli locali, che possono essere aggiornati, ma non cassati, per un modello astratto di liberalizzazioni e concorrenza, che appare ideologico e sprezzante delle tradizioni e della cultura locale.
Inoltre vanno privilegiati i modelli partecipati e condivisi, che non riducano il passaggio alla sola maggiore economicità dell’offerta da parte del concessionario.».