Una ricerca, di grande interesse, anche, perché la rivelazione tempestiva di bio-marcatori consentirebbe una diagnostica precoce e l’approccio preventivo per malattie gravi come tumori, patologie neurodegenerative e COVID-19, pubblicata su ‘Advanced Science’, portata a termine da ricercatori del CNR e dall’Università di Bari, dimostra come, per rivelare la presenza di singole molecole in un fluido biologico con un sensore a transistor con grandi interfacce bio-funzionalizzate, siano sufficienti pochi minuti.
di Piero Mastroiorio —
I ricercatori dell’IC-CNR, Istituto di Cristallografia ed l’IFN-CNR, Istituto di fotonica e nanotecnologie del Consiglio nazionale delle ricerche, in collaborazione con i Dipartimento di Chimica, di Farmacia-Scienze del Farmaco e Interuniversitario di Fisica dell’Università degli studi di Bari, hanno portato a termine una ricerca, pubblicata su ‘Advanced Science’, rivista internazionale ad elevatissimo Impact Factor (16.8), con cui sono riusciti a capire e risolvere l’enigma su come fa una molecola in un fluido biologico a raggiungere e interagire in pochi minuti con l’interfaccia sensibile di un dispositivo mille miliardi di volte più grande, nonché, ad aprire la strada allo sviluppo di bio-sensori elettronici sempre più efficaci.
Nelle fasi asintomatiche, che precedono l’insorgenza di patologie gravi, quali i tumori, le malattie neurodegenerative o il COVID-19, nei fluidi biologici del corpo umano sono presenti solo pochissimi bio-marcatori o patogeni, come spiega Luisa Torsi, professoressa ordinaria di chimica analitica dell’Università di Bari e neo vice-presidente del Consiglio scientifico del CNR, che ha coordinato la ricerca: «La loro rivelazione tempestiva consentirebbe realmente una diagnostica precoce e permetterebbe di trasformare radicalmente l’approccio medico da curativo a preventivo.».
Rivelare poche molecole ultra-diluite in un fluido utilizzando i dispositivi nanometrici esistenti è possibile, ma richiede settimane o mesi, poiché la probabilità di incontro ed interazione fra un bio-marcatore ed un nano-sensore, entrambi di dimensioni dell’ordine del nanometro, cioè un 1 miliardesimo di metro, è infinitamente bassa nel volume di un campione di sangue o saliva da analizzare, che è pari ad un decimo di millilitro. Sorprendentemente, diversi recenti esperimenti hanno dimostrato che, se invece di un nano-dispositivo, si utilizzano sensori aventi interfacce di millimetri, tappezzate con un grandissimo numero, mille miliardi, di anticorpi di cattura, è possibile rivelare la presenza di una singola molecola finanche in decimi di millilitro, nel giro di pochi minuti.
«È come liberare un singolo pesciolino nel lago di Garda e poi riuscire a ritrovarlo. Sviluppando un modello basato sulla teoria di Einstein sulla diffusione di particelle soggette al ‘moto browniano’ (moto incessante e disordinato di piccolissime particelle sospese in acqua o gas ndr) e usandolo, per spiegare nuovi esperimenti abbiamo trovato una spiegazione convincente all’enigma della cosiddetta barriera di diffusione», sottolinea Gaetano Scamarcio professore ordinario di Fisica dell’Università di Bari e associato al IFN-CNR, che ha ideato la ricerca, secondo il cui modello, un singolo antigene di immunoglobulina (IgG) in acqua è soggetto ad un incessante moto disordinato a causa dei frequentissimi urti con le molecole.
«L’analisi statistica mostra che in soli 10 minuti, grazie al moto browniano, la molecola può esplorare un volume pari a qualche decimo di millimetro cubo mentre ruota velocemente esponendo diversi siti di legame e, che, questo è sufficiente per garantire l’interazione efficace con uno dei moltissimi anticorpi presenti sull’interfaccia attiva del sensore», chiarisce Liberato De Caro ricercatore dell’IC-CNR.
Il risultato ottenuto ha enorme rilevanza per lo sviluppo di bio-sensori elettronici efficaci per la rivelazione precoce di patologie e per la medicina di precisione, come dichiara la vincitrice di un progetto ERC Starting Grant, Eleonora Macchia del Dipartimento di Farmacia-Scienze del Farmaco dell’Università di Bari: «Ad esempio, i sensori a transistor a singola molecola (SiMoT) hanno una prospettiva concreta di poter essere impiegati per la diagnostica dei tumori del pancreas e del COVID-19.».
«Questo lavoro fuga un preconcetto diffuso in ambito scientifico, ovvero la generalizzazione dell’esistenza della cosiddetta barriera di diffusione. Infatti, questo limite riguarda solo i sensori con interfacce nanometriche, che risultano inadatti per impieghi su campioni reali. Invece, i sensori SiMoT possono rivelare patogeni a concentrazioni ultra-basse in tempi di qualche minuto e sono quindi estremamente promettenti per una nuova generazione di bio-sensori. Infine, è evidente come per aggredire problemi complessi a livello molecolare in sistemi reali sia di grande efficacia un approccio multidisciplinare basato su chimica analitica, fisica dei dispositivi elettronici, fisica statistica, dinamica molecolare e nanotecnologie», concludono Luisa Torsi e Gaetano Scamarcio.