Uno studio, di Greenpeace ed Osservatorio di Pavia, analizza il rapporto fra media e crisi climatica, mettendo in evidenza come e perché i grandi quotidiani italiani ne parlano poco e male, dedicando più spazio ad aziende inquinanti, non approfondendo bene e inquadrano il tema soprattutto in una cornice economica, in un rapporto che deve ancora essere ben costruito.

di Redazione —

La domanda che in un programma a quiz, potrebbe valere un cospicuo montepremi, come parlano i media italiani della crisi climatica, è stata liquidata con un secco, poco e male, da uno studio di Greenpeace realizzato in collaborazione con l’Osservatorio di Pavia, che ha puntato il dito su come cinque grandi quotidiani italiani trattino la crisi, evidenziando che la pubblicità delle aziende inquinanti trova molto più spazio della crisi climatica, con articoli che non approfondiscono bene e inquadrano il tema, soprattutto, in una cornice economica: «I principali quotidiani italiani pubblicano in media due articoli al giorno che accennano alla crisi climatica, ma gli articoli che trattano esplicitamente il problema sono appena la metà. Al contrario, viene dato ampio spazio alle pubblicità dell’industria dei combustibili fossili e delle aziende dell’automotive, aeree e crocieristiche, tra i maggiori responsabili del riscaldamento del pianeta: su ‘Il Sole 24 Ore’ si contano più di cinque pubblicità di queste aziende inquinanti a settimana.».

Lo studio, esaminando gli articoli pubblicati nei primi quattro mesi dell’anno (gennaio-aprile 2022) dai cinque quotidiani più diffusi: ‘Corriere della Sera’, ‘la Repubblica’, ‘il Sole 24 Ore’, ‘Avvenire’ e ‘La Stampa’, ha evidenziato come «la crisi climatica trova ben poco spazio, contrariamente a quanto avviene per le pubblicità delle aziende inquinanti, che dimostrano invece di avere un ottimo ascendente sulla stampa.».
Nella maggior parte dei casi, gli argomenti trattati negli articoli esaminati, in tutto 528, sono originati da eventi di tipo economico o politico, si riferiscono, complessivamente, a un contesto prevalentemente nazionale, estero ed europeo, negli articoli con crisi climatica esplicita, raramente all’ambito locale, affrontano prevalentemente tre argomenti: la riduzione delle emissioni, la questione energetica e la crisi climatica in generale e sono inquadrati in frame economici o politici. Nel periodo gennaio-aprile 2022 non è stato osservato spazio per posizioni negazioniste.
Le cause della crisi climatica sono rese esplicite nel 22,5% degli articoli e in 1 caso su 2 sono ricondotte a combustibili fossili o emissioni di CO2. Le conseguenze della crisi compaiono nel 29,3% degli articoli con crisi climatica esplicita e nella maggior parte dei casi sono conseguenze di natura ambientale (49,3%). I soggetti del discorso sulla crisi climatica sono prevalentemente aziende (18,3%), esperti (14,3%) o associazioni ambientaliste (11,3%). Se, però, si sommano tutte le 4 categorie dei soggetti politici, esteri/internazionali, europei, nazionali, locali, risulta evidente la loro netta prevalenza (30,8%). Le aziende sono dunque il soggetto che ha più voce e superano esperti e associazioni ambientaliste. Infine, la crisi climatica è raccontata principalmente come un tema economico (45,3% degli articoli), quindi come un tema politico (25,2%) e solo in misura minore come un problema ambientale (13,4%) e sociale (11,4%).

Il giudizio di Greenpeace è molto duro: «Questo studio dimostra la pericolosa influenza esercitata dalle aziende inquinanti sulla stampa italiana, basti pensare che in quattro mesi, nei 528 articoli esaminati, le compagnie petrolifere sono indicate tra i responsabili della crisi climatica appena due volte! Grazie alle loro generose pubblicità, che spesso non sono altro che ingannevole greenwashing, le aziende del gas e del petrolio inquinano anche il dibattito pubblico e il sistema dell’informazione, impedendo a lettori e lettrici di conoscere la gravità dell’emergenza ambientale che stiamo vivendo.».
«Nella valutazione dei quotidiani italiani, la ricerca ha analizzato, anche, se le redazioni sono trasparenti rispetto ai finanziamenti ricevuti dalle aziende inquinanti. Questo parametro è stato valutato con un questionario inviato ai direttori», dice Greenpeace, cui ha risposto parzialmente solo ‘Avvenire’, tracciando una sua classifica dei quotidiani analizzati, che chiama “classifica degli intrappolati” per denunciare la «dipendenza del giornalismo italiano dai finanziamenti delle aziende inquinanti» e, considerando la media dei cinque parametri, conclude: «‘Avvenire’ raggiunge una risicata sufficienza (3 punti su 5), scarsi invece i punteggi di ‘Corriere’ e ‘Repubblica’ (2,2 su 5), mentre in fondo alla classifica si trovano La ‘Stampa’ e ‘Il Sole 24 Ore’ (2 su 5).  La classifica sarà aggiornata e pubblicata ogni quattro mesi e sarà seguita da un’analoga indagine sui telegiornali e sulle trasmissioni televisive di intrattenimento.».

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