Un sondaggio dell’Università Cattolica di Piacenza, ANBI Emilia Romagna, CREA e Consorzio di bonifica di Piacenza, rivela che con la pandemia il 54% degli adolescenti ha cambiato abitudini alimentari, il 15% vive l’alimentazione come un problema, ma, allo stesso tempo, aumenta la propensione al “salutismo”.
di Redazione —
Sarà stata la pandemia a modificare l’atteggiamento degli adolescenti nei confronti del cibo e nelle modalità con cui si rapportano quotidianamente all’alimentazione? La risposta alla domanda è affermativa ed arriva dalla prima ricerca in campo nazionale svolta dal team di studio dell’Università Cattolica di Piacenza insieme a ANBI Emilia Romagna, CREA e Consorzio di bonifica di Piacenza, all’interno del progetto Food Mood, rivelando che il 54% degli intervistati ha esplicitamente dichiarato di aver cambiato (forse per sempre) le proprie abitudini alimentari da quando il Covid-19 ha fatto improvvisa irruzione nelle loro vite.
«I nostri studi stanno via via sempre più confermando che la pandemia ha portato una maggiore attenzione del consumatore al tema della sana alimentazione. Un altro dato estremamente importante è la stretta correlazione tra aderenza alle raccomandazioni nutrizionali e atteggiamenti di prevenzione dello spreco alimentare. Tutti elementi importantissimi per l’attuazione di adeguati programmi di politica alimentare», commenta Laura Rossi, ricercatrice del CREA Alimenti e Nutrizione.
Dalla ricerca emergono anche gli aspetti positivi e negativi dei cambiamenti portati dalla pandemia e tra quelli peggiorativi emergono soprattutto due elementi: da un lato un aumento consistente del tempo in solitudine e dedicato all’uso dei device digitali, con i conseguenti impatti negativi su tutte le sfere della socialità, inclusa quella della condivisione del cibo come momento di gratificazione e di evasione. Ne deriva che circa il 15% degli adolescenti intervistati vive, purtroppo, l’alimentazione come un problema, che l’emergenza Covid-19 ha di fatto esasperato. Dall’altro lato, vi è il consolidamento di una “brutta abitudine” che si stava peraltro già affermando nell’era pre-pandemica: quella di non fare la prima colazione. Un comportamento che riguarda ormai circa un quarto degli intervistati di scuola superiore, che non riconoscono a questo momento di consumo la sua fondamentale importanza.
I cambiamenti migliorativi, però, sono molti e decisamente incoraggianti. In primis, i lockdown, la DAD, lo smart working e più in generale il maggior tempo trascorso tra le mura domestiche hanno favorito il recupero della “socialità” dei pasti in famiglia nel 96% dei casi. Un altro aspetto positivo indotto dall’emergenza Covid-19 è stato quello di una maggiore attenzione, rispetto al passato, alla sicurezza dei prodotti: c’è una crescente domanda di “Food Safety”, che deriva da un fortissimo bisogno di rassicurazione da parte dei giovani rispetto a tutto ciò che si mangia e si beve. Nello stesso tempo, c’è una diffusa propensione al “salutismo” alimentare: 2 adolescenti su 3 hanno iniziato a scegliere cibi con meno grassi, meno zuccheri, meno sale e/o hanno ridotto la quantità complessiva di cibo consumato. Il tutto accompagnato da un’ottima predisposizione a svolgere attività fisica: almeno una volta a settimana nel 78% dei casi.
Infine, la ricerca ha messo in luce altri due aspetti: una crescente preferenza per la cosiddetta “dieta mediterranea” e la riscoperta dei prodotti tipici del territorio.