L’ultimo rapporto di ActionAid, legato alla condizione femminile nel lavoro in Calabria, Basilica e Puglia, fotografa la situazione nell’agricoltura, raccontando di disparità salariale, tra donne e uomini, pratiche sleali dei datori di lavoro, che dichiarano in busta paga un numero inferiore di giornate, rispetto a quelle lavorate, impedendo loro, non solo di accedere all’indennità di infortunio, malattia e disoccupazione agricola, ma anche a quella di maternità e, come se non bastasse, le donne braccianti sono spesso esposte a violenza e molestie sui luoghi di lavoro, sui mezzi di trasporto, che le conducono sui campi, nelle serre, nei magazzini, nelle fabbriche di confezionamento o negli alloggi, messi a disposizione dai datori di lavoro.
di Piero Mastroiorio —
Il Rapporto ActioAid “CAMBIA TERRA. Dall’invisibilità al protagonismo delle donne in agricoltura”, realizzato nell’ambito del programma che dal 2016 si occupa di indagare e intervenire sulle condizioni di vita e di lavoro delle donne in agricoltura in Puglia, Basilicata e Calabria, per tutelare i loro diritti, rivela come, per le donne sia difficile il mondo del lavoro: braccianti, operatrici, ricercatori, psicologhe, sindacaliste, raccontano come le molestie sessuali, i ricatti, le paghe da fame, le liste nere dei caporali siano un fenomeno radicato anche nell’Arco Ionico, l’area che comprende le provincie di Matera, Taranto e Cosenza, una vasta zona del Sud Italia dove il clima e la terra fertile favoriscono le coltivazioni di ortofrutta, dalle fragole all’uva da tavola fino agli agrumi.
Sono le donne a essere richieste per garantire maggiore cura per le stagioni di raccolta e lavorazione della frutta più delicata. Sono le donne, soprattutto originarie della Romania e della Bulgaria, a subire la violazione dei propri diritti, come spiega ActionAid: «Non esistono dati certi sul numero di operaie agricole in Italia e il fenomeno del lavoro nero caratterizza il settore agricolo attraverso reclutamento illecito, irregolarità contrattuali o la totale assenza di un contratto di lavoro e la conseguente assenza di previdenza e protezione sociale. Il caporalato muove un’economia illegale e sommersa di oltre 5.000.000.000 di €.».
Secondo le stime sarebbero tra 51.000 e 57.000 le lavoratrici sfruttate in Italia.
Nell’Arco Ionico le operaie agricole regolari sono 22.702, 16.801 italiane e 5.901 straniere, di cui il 76% è costituito da comunitarie, soprattutto rumene e bulgare. A peggiorare la vita delle donne sono le disuguaglianze strutturali di genere, come la disparità salariale tra donne e uomini. Nelle campagne le donne arrivano a guadagnare anche solo 25/28 € al giorno, mentre gli uomini ne ricevono 40. Inoltre, la pratica dei datori di lavoro sleali di dichiarare in busta paga un numero inferiore di giornate rispetto a quelle lavorate impedisce alle donne non solo di accedere all’indennità di infortunio, malattia e disoccupazione agricola, ma anche a quella di maternità.
Come se non bastasse, le donne braccianti sono spesso esposte a violenza e molestie sui luoghi di lavoro, sui mezzi di trasporto che le conducono sui campi, nelle serre, nei magazzini o nelle fabbriche di confezionamento, negli alloggi messi a disposizione dai datori di lavoro.
«Nel barese, da anni va avanti un metodo collaudato: la mattina, quando nelle piazze arrivano i furgoni per portare le operaie agricole nei campi, la “prescelta” viene fatta salire davanti, nello spazio accanto al guidatore. Sul cruscotto vengono messi un cornetto e un caffè caldo, comprati al bar. Mangiare la colazione significa accettare l’avances sessuale e quindi ottenere l’ingaggio. Rifiutando, invece, il giorno dopo si viene lasciate a casa», spiega Annarita Del Vecchio, psicologa e collaboratrice di ActionAid in Puglia.
La violenza è esercitata in molteplici forme, verbale, fisica, psicologica, sessuale ed è accompagnata da minacce, come quella di perdere il posto, di essere demansionata o non pagata. Reagire può significare finire nelle “liste nere”, come spiega Maurizio Alfano, ricercatore ed esperto Immigrazione anche per la Regione Calabria: «I caporali si telefonano l’uno con l’altro, per segnalare le piantagrane. C’è uno scambio di manodopera e quindi di informazioni. Il sistema è sofisticato: ad esempio, quando finisce la stagione dei mandaranci e inizia la semina delle fragole, i caporali organizzano i trasporti fino alla Basilicata. Vengono preferite le donne, perché sono più prostrate e obbligate a sopportare con rassegnazione.».
«Uno dei problemi di cui non si parla è quello della maternità. La gestione dei figli è davvero difficile per le lavoratrici agricole. Quando la campagna inizia presto, alle due o alle tre di notte, prendono i bambini addormentati e, se non hanno familiari di riferimento, li portano a casa di estranee, che ne accudiscono cinque, sei, o dieci nelle loro case. Li tengono fino a quando le madri non tornano a prenderli, il pomeriggio. Mandarli all’asilo non è possibile, l’orario non lo permette», dice Adriana, ex bracciante rumena, una delle leader comunitarie di ActionAid.
In Calabria esistono gli “asili nido irregolari”, servizi a pagamento, in nero, con personale senza alcuna formazione che si occupa dei piccoli fino all’arrivo dei genitori e qualcuna si porta i figli nelle serre, facendoli dormire in cassette di legno.
Sono queste, dunque, le difficoltà raccontate dalle donne ad ActionAid: senso di isolamento, impossibilità ad accedere ai servizi pubblici e ai servizi di cura per i figli, perché pochi, distanti, costosi e con orari incompatibili con quelli degli spostamenti da casa e lavoro che possono durare anche tre o quattro ore al giorno. Molte lavoratrici agricole non si recano negli uffici pubblici perché non parlano italiano e non sono disponibili servizi di interpretariato o di mediazione linguistico-culturale.
Inoltre, lamentano spesso la mancanza di attenzione alla loro salute fisica: in assenza di servizi igienici, le donne sono costrette ad utilizzare i campi, anche quando piove e quando hanno il ciclo mestruale. Chi chiede un giorno di pausa rischia di non lavorare nei giorni successivi.
«Il modello agricolo attuale non è sostenibile, né per le lavoratrici a rischio o in condizioni di sfruttamento, né per le tante imprese che rispettano le regole, nonostante le molte difficoltà, che il mercato e la concorrenza sleale impone loro. Abbiamo bisogno di cambiare prospettiva, mettendo al centro i bisogni delle lavoratrici agricole, come cittadine e come persone che ad oggi sono escluse dai più basilari servizi di welfare e più in generale dai processi democratici delle comunità di appartenenza», spiega Grazia Moschetti, responsabile dei progetti ActionAid nell’Arco Ionico, sottolineando: «Servono spazi pubblici di confronto dedicati alle donne, costruiti da loro e supportati da tutte le parti in causa, dalle imprese alle associazioni. Le operaie agricole non possono più essere escluse o lasciate ai margini degli interventi delle istituzioni, ad oggi attuati senza una chiara prospettiva di genere. Continuare a farlo significa non mettere fine deliberatamente alle violazioni dei diritti e alle violenze che subiscono.».
Intanto a Schiavonea, nella piana di Sibari in Calabria, è stata attivata la Cittadella della condivisione, spazio aperto alle donne dove le leader di ActionAid forniscono servizi di orientamento al lavoro, supporto all’accesso ai servizi sociali e tutela legale, mediazione linguistica. Ad Adelfia, in provincia di Bari, come esito del Patto di collaborazione “La buona terra” promosso dal programma Cambia Terra di ActionAid, il nido comunale ha attivato il servizio di pre-accoglienza per le bambine e i bambini dalle quattro di mattina. Si tratta di un servizio a domanda individuale del Comune di Adelfia, che prevede orari flessibili in entrata e uscita.
Le foto sono tratte da CAMBIA TERRA. Dall’invisibilità al protagonismo delle donne in agricoltura