Greenpeace, Legambiente e WWF chiedono una modifica delle ‘Riforma della Giustizia’ e sperano che in essa siano inseriti «i delitti ambientali tra quelli di particolare gravità e complessità, per cui sono previsti tempi più lunghi per lo svolgimento delle indagini e dei processi.».
di Redazione —
«L’Italia rischia di fare un clamoroso passo indietro nella tutela dell’ambiente, cancellando, con un colpo di spugna, migliaia di procedimenti penali già in corso per i delitti ambientali introdotti nel nostro Codice penale con la legge 68 del 2015 e le successive modifiche», affermano Greenpeace, Legambiente, WWF e in merito alla Riforma della Giustizia, lanciando un appello, con il quale si chiede di inserire i delitti ambientali «tra quelli di particolare gravità e complessità, per cui sono previsti tempi più lunghi per lo svolgimento delle indagini e dei processi. Il nostro Paese ha atteso ben 21 anni prima di vedere introdotte nel Codice penale, con una riforma di civiltà, adeguate misure sanzionatorie contro delitti di estrema gravità come l’inquinamento, il disastro ambientale, l’attività organizzata di traffico illecito di rifiuti, l’omessa bonifica. Chiediamo al Governo di modificare il testo in discussione alla Camera per evitare che tutte le indagini e i processi già avviati grazie a quelle norme votate da un’ampia maggioranza in Parlamento vengano vergognosamente cancellate.».
Gli ambientalisti ricordano le notizie di cronaca sulle inchieste su cui indagano Forze dell’Ordine e Magistratura: dai fanghi tossici sparsi sui terreni agricoli del Nord Italia alla devastazione delle scogliere della costa campana e dei Faraglioni di Capri per la pesca illegale del dattero di mare; dai depuratori che inquinano le coste della Calabria e della Sicilia al disastro ambientale causato dall’ex Ilva di Taranto, fino all’inquinamento da PFAS, sostanze perfluoroalchiliche, o acidi perfluoroacrilici, una famiglia di composti chimici usati prevalentemente dall’industria, nelle acque potabili del Veneto.
Secondo i dati raccolti ed elaborati dal Ministero della Giustizia e pubblicati ogni anno nel Rapporto Ecomafia di Legambiente, dal 2015 al 2020 sono 4.636 i procedimenti penali avviati dalle procure italiane (di cui 623 archiviati), con 12.733 persone denunciate e 3.989 ordinanze di custodia cautelare.
«Sono risultati che testimoniano un impegno straordinario delle Forze dell’ordine a fronte di reati di particolare complessità dal punto di vista giuridico e degli accertamenti tecnico-scientifici necessari per accertare quanto è accaduto, a cui già oggi è difficile fare fronte senza un potenziamento delle strutture dello Stato, a cominciare dalle Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente, delegate al sistema dei controlli, come richiesto a gran voce ma finora invano», spiegano Greenpeace, Legambiente e WWF, che concludono: «Senza la modifica al testo presentato dal Governo, la cosiddetta ‘riforma Cartabia’, verrà di fatto tradita qualsiasi speranza di ottenere giustizia in nome del popolo inquinato.».