Violata, nel viterbese la Direttiva 98/83/CE, che impone agli Stati di garantire le acque, destinate al consumo umano, salubri e pulite, che nell’acqua potabile non siano presenti microrganismi e parassiti, né sostanze che potrebbero rappresentare un pericolo per la salute umana.
di Redazione —
La Commissione europea ha deferito l’Italia alla Corte di giustizia europea, per la fornitura di acqua potabile non sicura e per il mancato rispetto della direttiva sull’acqua potabile, Direttiva 98/83/CE, che impone agli Stati di garantire che le acque destinate al consumo umano siano salubri e pulite, richiede che nell’acqua potabile non siano presenti microrganismi e parassiti, né sostanze che potrebbero rappresentare un pericolo per la salute umana. Non è questo il caso di sei comuni del viterbese dove ci sono livelli troppo alti di arsenico e fluoruro.
La vicenda prende il via nel maggio del 2014, quando la Commissione aveva inviato all’Italia una lettera di costituzione in mora, seguita da un parere motivato nel gennaio 2019 riguardante 16 zone di approvvigionamento idrico della provincia di Viterbo. Dall’invio del parere motivato la piena conformità alla direttiva è stata raggiunta solo in 10 di queste zone, per le altre restanti sei zone di approvvigionamento idrico, non sono ancora conformi alla direttiva sull’acqua potabile, come si puntualizza nella nota la Commissione europea, con cui informa di aver deferito l’Italia alla Corte di Giustizia europea: «Da molto tempo in alcune zone della provincia di Viterbo, in Lazio, i livelli di arsenico e fluoruro nell’acqua potabile superano i valori parametrici stabiliti dalla direttiva sull’acqua potabile: ciò può danneggiare la salute umana, in particolare quella dei bambini. Sono sei le zone in cui i livelli di arsenico nell’acqua potabile restano al di sopra delle soglie di sicurezza: Bagnoregio, Civitella d’Agliano, Fabrica di Roma, Farnese, Ronciglione e Tuscania. Nelle zone di Bagnoregio e Fabrica di Roma sono state inoltre superate le soglie di sicurezza per il fluoruro».