Il peggioramento dello sfruttamento dei braccianti viene riconosciuto nel documento conclusivo sul caporalato approvato dalle Commissioni riunite Lavoro e Agricoltura a conclusione dell’indagine sul fenomeno del caporalato in agricoltura, che evidenzia, tra l’altro, i punti di forza e le lacune nell’applicazione della legge 199/2016.
di Piero Mastroiorio —
I lavoratori agricoli e i migranti impiegati nelle campagne, sfruttati e sottopagati, reclutati attraverso il caporalato, hanno subito un peggioramento delle condizioni lavorative e sanitarie a causa dell’emergenza sanitaria della pandemia che ha aggravato lo sfruttamento dei braccianti nella campagne italiane: hanno lavorato più ore, in condizioni ancor più irregolari e se possibile “invisibili”, con un aumento, anche, di incidenti, le violenze ed abusi a danno dei lavoratori e delle lavoratrici, come si sottolinea nel Documento conclusivo sul caporalato approvato dalle Commissioni riunite Lavoro e Agricoltura: «Il COVID-19, in sostanza, non ha determinato una diminuzione dello sfruttamento, ma una sua accelerazione e il peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei braccianti immigrati, per molti dei quali non è stato possibile accedere alle misure di sostegno predisposte dallo Stato.».
Il confinamento, per chi preferisce lockdown, ha peggiorato lo sfruttamento dei braccianti anche perché sono stati costretti a lavorare privi di protezione individuale, senza mascherine, in una condizione di non visibilità fino agli eclatanti episodi di cronaca, come quelli che hanno interessato la comunità indiana sikh dell’Agro Pontino, per casi di violenza con braccianti malmenati e finiti in ospedale per opera delle violenze dei “padroni”, come si fanno chiamare alcuni datori di lavoro, sia per la situazione dei contagi in aree abitative sovraffollate, sottoposta, solo negli ultimi tempi, a screening collettivi da parte della ASL.
Il peggioramento dello sfruttamento dei braccianti viene riconosciuto nel documento, a conclusione dell’indagine sul fenomeno del caporalato in agricoltura, che evidenzia i punti di forza e le lacune nell’applicazione della legge 199/2016, ricordando le dimensioni del caporalato in agricoltura ed aggiorna il fenomeno alla luce dell’emergenza sanitaria e dello sfruttamento dei lavoratori in agricoltura, riconoscendo, ne capitolo dedicato al tema, che «la pandemia da COVID-19 ha drammaticamente messo in evidenza la natura sistemica dello sfruttamento dei lavoratori stagionali soprattutto nel settore agricolo.».
Durante l’emergenza pandemica c’è stato «un incremento esponenziale delle ore lavorate, accompagnato da un significativo aumento del tasso di irregolarità e, conseguentemente, del rischio di incidenti anche gravi, come testimoniato dagli episodi di cronaca verificatisi nell’Agro Pontino», conseguenza: lo sfruttamento dei braccianti peggiorato durante il confinamento, perché i lavoratori si sono ritrovati, più isolati, più esposti alle violenze di alcuni datori di lavoro e più esposti al contagio per l’assenza di protezioni e mascherine. Nonchè, come si legge nel documento, il confinamento ha «comportato una maggiore emarginazione sociale dei lavoratori agricoli irregolari, con aumento dei casi di violenza intraziendale, che, sovente, non sono stati denunciati, così come un sensibile peggioramento della condizione delle lavoratrici immigrate, spesso vittime di violenze ed abusi, per le quali la differenza di genere ha ulteriormente giocato un ruolo di grave svantaggio.».