UIL e dalla UILA di Puglia commentano la notizia della volontà, da parte della Giunta Regionale, di identificare tutti i prodotti regionali con un marchio collettivo “Made in Puglia”.
di Redazione —
«Il marchio ‘Made in Puglia’ potrebbe rivelarsi senza dubbio un’ottima iniziativa a patto non diventi solo una campagna comunicativa e promozionale buona a riempire qualche pagina di giornale o a produrre qualche spot in tv, ma punti concretamente a valorizzare la produzione locale e, in particolare, quella ottenuta attraverso occupazione sana, sicura e legale, non solo nel settore agroalimentare, ma anche in altri comparti come quello dell’artigianato, dove purtroppo il ricorso al lavoro sommerso è ancora elevato. Rendere identificabili i prodotti ‘Made in Puglia’, inoltre, consentirebbe di far nascere iniziative aggregative che possano concorrere realmente con grandi gruppi industriali, creando così nuove filiere e nuove opportunità di lavoro. Si pensi al caso di Eataly, solo l’ultimo di una lunga serie di addii firmati multinazionali che hanno lasciato alle spalle macerie occupazionali e produttive. La UIL e la UILA sono pronte sin da subito a confrontarsi con la Regione per individuare linee guida efficaci per sviluppare il progetto», dice Franco Busto, segretario generale della UIL di Puglia.
«L’iniziativa suscita tutto il nostro interesse a patto che questo nuovo marchio sia uno strumento per promuovere anche il lavoro qualità. Dietro tutte le produzioni pugliesi c’è un sapere che si tramanda di generazione in generazione. È arrivato il momento di pensare che tutte le azioni che si mettono in campo nell’ambito della promozione e del marketing, devono essere volte a valorizzare anche il ruolo del lavoro nella produzione di eccellenze! La sua valorizzazione passa da azioni concrete, quali il rispetto dei contratti nazionali e da una migliore divisione della ricchezza all’interno delle diverse filiere, una divisione che non crei squilibri evidenti come quelli attuali. La disuguaglianza di ricchezza tra chi commercializza e distribuisce e chi produce è abissale. Oggi sappiamo che per ogni 100 € di consumi alimentari degli italiani, il 32,8% remunera i fornitori di logistica, packaging e utenze, il 31,6% il personale della filiera, il 19,9% le casse dello Stato, l’8,3% i fornitori di macchinari e immobili, l’1,2% le banche, l’1,1% le importazioni nette e solo il 5,1% gli operatori di tutta la filiera agroalimentare estesa. È importante che si elabori una strategia di promozione volta a supportare politiche commerciali che permettano al comparto produttivo di acquisire maggiori profitti. Oggi, di fatto, il mercato lo fa la distribuzione. Se si crea un marchio collettivo, ma si continua a lasciare il pallino del gioco agli stessi attori che sovrastano tutti gli anelli della filiera da una posizione dominante, si sarà fatto ben poco», commenta Pietro Buongiorno, Segretario Generale UILA Puglia.