PALERMO: «Scomparso il finanziamento per eliminare la mobilità sanitaria, che aumenta le diseguaglianze finanziando i sistemi sanitari regionali ricchi con i soldi di quelli poveri, nemmeno abbozzato un finanziamento aggiuntivo per la sanità del Sud, lasciata nella sua arretratezza strutturale e organizzativa, scarsi investimenti nella ricerca e nessuna prospettiva per i ricercatori. Un quadro che, per mancanza di coraggio, disegna una sanità, se non proprio uguale a prima, certo non abbastanza diversa. Unica luce l’incremento di 7.000 posti per la formazione medica post laurea.».
di Redazione –
«Di fatto, la Sanità è tornata a essere Cenerentola, sia per l’esiguità delle risorse che le sono state destinate, sia per il fatto che nessun partito della variegata maggioranza ha ritenuto di farne la propria bandiera dentro il PNRR. I 15 mld sono appena l’8% del fondo europeo, molto meno di quanto destinato al superbonus edilizio, e si giunge a 20 mld solo con la “terza gamba” del disavanzo nazionale. Saranno fischiate le orecchie al MES, vero convitato di pietra», scrive, in una nota, Carlo Palermo, Segretario nazionale dell’ANAAO – Assomed, Associazione dei medici e dirigenti sanitari italiani, in cui stronca il Recovery Plan approvato dal Consiglio dei Ministri, sottolineando: «un piano, quello italiano, che smentisce la retorica versata a larghe mani sulla sanità pubblica durante 15 mesi di pandemia, a cominciare dalla sua assunzione come priorità della ricostruzione nazionale.
Il piano vede le criticità della sanità territoriale, cui giustamente assegna un terzo delle risorse, ma non giudica bisognevole di investimenti adeguati il sistema ospedaliero, che ha evitato il collasso sociale e sanitario durante la pandemia. I 5,6 mld destinati all’ammodernamento strutturale, tecnologico e digitale degli ospedali appaiono largamente insufficienti rispetto alle necessità, tanto che il Ministro Speranza prevedeva 34,4 mld per gli stessi fini. Eppure, siamo di fronte a stabilimenti ospedalieri vetusti, costruiti nel 45% dei casi prima del 1940, scarsamente flessibili, concettualmente superati, con impiantistica obsoleta, insicuri sotto il profilo sia sismico che dei sistemi antincendio. Con una dotazione attuale di posti letto, 3,1 per mille abitanti, tra le più basse in Europa, causa non marginale dell’incremento della mortalità generale osservato nel 2020.
Non basta, comunque, l’adeguamento degli edifici per migliorare la cura dei pazienti così come la tecnologia e i posti letto non possono funzionare senza il personale necessario, nemmeno previsto. Manca ogni accenno, nemmeno in una prospettiva futura, al cambiamento della governance degli ospedali e del ruolo dei medici e dei dirigenti sanitari, oggi numeri chiamati a produrre altri numeri, o alla necessità di ridefinire la dotazione organica in senso espansivo, anche per affrontare, con costi a carico del FSN, la pandemia sommersa creata dalle decine di milioni di prestazioni negate e rinviate causa Covid-19. Si sceglie di spendere, però, in una formazione manageriale, peraltro già obbligatoria per l’accesso alle funzioni apicali, funzionale a una fallimentare cultura economicistica.
Scomparso il finanziamento per eliminare la mobilità sanitaria, che aumenta le diseguaglianze finanziando i sistemi sanitari regionali ricchi con i soldi di quelli poveri, nemmeno abbozzato un finanziamento aggiuntivo per la sanità del sud, lasciata nella sua arretratezza strutturale e organizzativa, scarsi investimenti nella ricerca e nessuna prospettiva per i ricercatori, un ddl collegato al DEF che rilancia l’autonomia differenziata, una ventilata riforma degli IRCCS di significato incerto. Un quadro che, per mancanza di coraggio, disegna una sanità se non proprio uguale a prima certo non abbastanza diversa. Unica luce l’incremento di 7.000 posti per la formazione medica post laurea.
Le criticità disvelate dalla pandemia, figlie della scure di ieri che ha minato la sanità nelle sue basi economiche e umane, richiedono consistenti investimenti non solo in edilizia, tecnologia, digitalizzazione ma anche nel personale. Perché la questione decisiva sono i medici e i dirigenti sanitari, quel capitale umano senza il quale nessun ridisegno e potenziamento del SSN è immaginabile, anche ai fini della produttività dei servizi per l’abbattimento di liste di attesa semestrali.
No, non è andato tutto bene in questa pandemia. E una crisi andrà sprecata se i professionisti, che sono la sanità pubblica, perché le loro competenze segnano il confine tra la salute e la malattia, rimarranno delusi dalla mancanza del giusto riconoscimento per l’abnegazione e dedizione dimostrata, anche a costo della vita, per tutelare un diritto costituzionale di tutti i cittadini.».