Uno studio, pubblicato sull’International Journal of Environmental Research and Public Health, condotto dall’ ISMN-CNR, con il GIPSA-LAB e la Fondazione “E. Amaldi”, indaga le possibili correlazioni, a livello regionale, tra sintomi, condizioni atmosferiche, meteo ed inquinamento.
di Piero Mastroiorio —
Uno studio, pubblicato sull’International Journal of Environmental Research and Public Health, condotto dall’ISMN-CNR, Istituto per lo studio dei materiali nanostrutturati del Consiglio Nazionale delle Ricerche, dal GIPSA-LAB del Grenoble Institute of Technology e dalla Fondazione “E. Amaldi”, ha indagato la possibile correlazione tra inquinamento atmosferico, dati meteorologici e focolai Covid-19 sviluppatisi nell’area della Regione Lombardia, appartenente ad alcune regioni del Mondo, con tasso di contagio e mortalità superiore alla media, compresa tra il 2% e il 5%, dove, la prima ondata pandemica, ha fatto registrare punte pari al 40% di quelli registrati nell’intero Paese, con un tasso di crescita dell’infezione, nelle 24 ore, superiore al resto delle regioni italiane. Nello studio si analizzano i dati epidemiologici forniti giornalmente da Protezione civile ed ISS, Istituto Superiore di Sanità, riportando la distribuzione geografica nelle 12 province lombarde durante la prima ondata dell’epidemia, che va dal 24 febbraio al 31 marzo 2020. Nel periodo analizzato è emerso che oltre il 63% dei 42.283 contagiati registrati in tutta la regione erano concentrati nelle province di Milano, Bergamo e Brescia. Più in generale, mentre, a livello nazionale il rapporto medio tra casi infetti e popolazione era di circa lo 0,21%, in Lombardia era 0,42%, esattamente il doppio.
Tenendo presente che lavori recenti hanno ipotizzato che la presenza di inquinanti atmosferici quali particolato (PM10, PM2,5), ossidi di azoto e di zolfo, nonché, le condizioni meteorologiche, come temperatura, grado di umidità, velocità del vento, possano condizionare la stabilità di MERS-CoV, SARS-CoV-1 ed è ipotizzabile un simile effetto anche per il SARS-CoV-2, il ricercatore dell’ISMN-CNR, Roberto Dragone, riguardo alla ricerca riferisce che:“I risultati ottenuti mostrano una buona correlazione tra insorgenza dei sintomi da COVID-19, inquinamento atmosferico e condizioni climatiche registrati in Lombardia tra febbraio e marzo 2020. Tra i possibili meccanismi riconducibili agli inquinanti chimici atmosferici non si può escludere la sensibilizzazione dell’organismo all’attacco virale per abbassamento delle difese immunitarie. Le apparenti discordanze, che a volte emergono dalla letteratura, riguardo agli effetti dell’inquinamento atmosferico possono dipendere da cambiamenti locali nel tipo di inquinanti e/o nelle loro concentrazioni. Inoltre, è da considerare che le concentrazioni di particolato atmosferico monitorate non tengono conto della sua composizione chimica, la quale è responsabile del tipo di interazione con la particella virale e/o con l’organismo umano. Tale composizione dipende dalla fonte di emissione, e quindi può variare anche a seconda dell’area geografica monitorata. Infine, non è da sottovalutare che l’esposizione al virus è favorita nelle situazioni indoor e dagli assembramenti, sia all’aperto sia al chiuso, verificatisi all’inizio della prima ondata della pandemia e in assenza di misure preventive per il contenimento del contagio”.
Per lo studio di correlazione sono stati analizzati i dati meteorologici relativi alla temperatura, all’umidità relativa e alla velocità del vento, registrati giornalmente dalle stazioni meteorologiche distribuite sul territorio della Regione Lombardia. Inoltre, tramite il CAMS, monitoraggio dell’atmosfera Copernicus, implementato dal ECMWF, Centro europeo per le previsioni meteorologiche a medio termine, sono stati elaborati i dati satellitari relativi alle concentrazioni giornaliere degli inquinanti atmosferici: PM10, PM2,5, ossidi di azoto (NO, NO2), ossido di carbonio (CO), di zolfo (SO2), ozono (O3) ed ammoniaca (NH3). Per i gas con proprietà acide o basiche è stato valutato il possibile contributo alla “acidità atmosferica netta”, come conclude il ricercatore dell’ISMN-CNR, Gerardo Grasso: “Una maggiore comprensione delle correlazioni tra virus, inquinamento atmosferico e condizioni ambientali è, a nostro avviso, importante nella comprensione dei possibili meccanismi di diffusione e quindi nell’intervento mirato al contenimento della capacità infettante delle particelle virali.