In un’epoca in cui l’astensione elettorale sta raggiungendo livelli preoccupanti, è fondamentale analizzare le cause alla base di questo fenomeno e le sue implicazioni sulla democrazia.
di Piero Mastroiorio —
Arrivati i risultati delle amministrative della Liguria, come al solito caricato, per grancassa elettorale da alcuni, di valenza nazionale, con la vittoria del centrodestra, la sconfitta del campo largo ed il crollo del grillismo, nella terra del fondatore, che spegne la voce del “dissenso”, col suo “vaffa”, diviso, impotente, ridotto a numeri preceduti dallo zero. In questa piccola Regione, con meno del 3% della popolazione italiana, capace, però di rappresenta un laboratorio politico interessante, con il suo calo demografico, invecchiamento della popolazione, perdita di industrie, scarse infrastrutture, sanità in crisi, agonia delle aree interne, peso preponderante del settore terziario, forti squilibri territoriali e, non da ultimo, il trauma dell’arresto di Toti, che ha decapitato la giunta di centro-destra, il dato più importante che ci giunge è l’aumento del “partito del non voto“, con il 54% degli elettori rimasto a casa, 597.000 voti validi, un numero risibile, nonché 20.000 schede bianche e nulle. Al netto dei dati, che non sono una novità, il trend, che si replica da molto tempo, vede il dissenso che avanza fuggendo, diventando qualcosa privo di politica più che contro la politica.
Guardando il panorama la domanda è d’obbligo: il “partito del non voto” rappresenta una scelta consapevole o una disillusione verso il sistema politico?
La risposta è altrettanto obbligata, in un’epoca in cui l’astensione elettorale sta raggiungendo livelli preoccupanti, è fondamentale analizzare le cause alla base di questo fenomeno e le sue implicazioni sulla democrazia, che vede prima fra tutte la disaffezione politica, alimentata dai molti cittadini disillusi dalle promesse non mantenute dei politici e l’assenza di una rappresentanza efficace, che spinge a considerare il voto come un gesto inutile. Segue la scarsa informazione, sintetizzabile in superficiale, affidata ad individui, che, pensando al proprio tornaconto, dimenticando deontologia e buone maniere. Peggio quando curata da “scienziati”, approssimati, che, facendo il paio con la mancanza di dibattiti significativi e contradittori, privi di rissa, contribuiscono all’ignoranza politica, che, senza una comprensione adeguata delle questioni, porta l’elettorato a scegliere la non partecipazione. Quindi, ultima, ma non per importanza, la sfiducia nel sistema, alimentata dalla percezione di un sistema politico corrotto e/o manipolato, che riduce la motivazione a votare, atteso che molti cittadini ritengono utile a nessun cambiamento il loro voto.
Tutto ciò porta ad una conseguenza: l’astensione elettorale ha un impatto diretto sulla rappresentanza politica, dove maggiore è il numero di astenuti, minore è la legittimità dei risultati elettorali. Inoltre, questo fenomeno può portare a una polarizzazione crescente, con un elettorato attivo che rappresenta solo una parte della popolazione.
Affrontare il problema del non voto non è cosa semplice, richiede molto più spazio di una cartella dattiloscritta, abbisogna di impegno, collettivo, che vede fondamentale il ripristino della fiducia nel sistema, la promozione di una cultura della partecipazione e garantire a tutti i cittadini accesso a informazioni chiare e complete, per sperare in una democrazia viva e partecipativa.