di Piero Mastroiorio

Attacchi alla base UNIFIL italiana chiamati tragico errore. Momento glorioso in cui la grande macchina bellica, con tutto il suo apparato tecnologico, le sue menti brillanti e la sua strategia impeccabile, scivola, sulla classica buccia di banana, in una situazione dove precisione e coordinamento dovrebbero essere al massimo, compare il protagonista inatteso: lo sbaglio epico, la classica “bomba sull’obiettivo sbagliato“?

Già, potrebbe essere uno dei grandi classici: la bomba intelligente che improvvisamente si scopre tutt’altro che intelligente. Destinata a colpire una base nemica, zeppa di terroristi armati fino ai denti, finisce contro la base UNIFIL italiana. Nessuna meraviglia, ne abbiamo viste altre finire su ospedali, su scuole, e, perché no, su abitazioni di civili inermi. Come abbiamo visto generali ed esperti di cose belliche, dallo sguardo vacuo, dichiarare: “si é trattato di mero errore di calcolo“, come se con una rettifica, un missile di 500 chili, o un colpo di mortaio, non abbiano cambiato le forme urbane!

Che si sia trattato di confusione tra amici e nemici?

Un altro capolavoro delle gaffe belliche: il famoso “fuoco amico“. Soldati che si sparano addosso fra loro, convinti di combattere contro il nemico, dove l’unica differenza è che il nemico, nel caso, sta ridendo, attendendo di ascoltare la giustificazione: “Scusate ragazzi, errore mio, credevo foste l’altro esercito!“.

Che si sia trattato di battaglia sul campo sbagliato?

Più probabile, attesa la richiesta “spostatevi 5 Km più in là”. È incredibile come gli eserciti possano, a volte, attaccare il luogo giusto nel momento sbagliato, o, addirittura, attaccare un luogo, sbagliato in tutti sensi. Hanno preparato tutto per la grande offensiva, lanciato un attacco colossale, e, solo dopo, nel caso, forse, ancora non si sono accorti su dove stanno sparando, anche se i comandanti gridano nelle loro radio: “Missione compiuta!“, mentre gli abitanti del posto guardano perplessi, sbraitano, fanno la voce grossa, senza far seguire, alle chiacchiere, azioni concrete e capaci di chiudere la partita con quest’invasione, unilaterale, che pretende, di radere al suolo intere città, con migliaia di vittime civili, in cambio di qualche centinaio di terroristi morti, ammesso che siano veramente terroristi.

Che si tratti alleanze confuse?

Vuoi vedere che la diplomazia, in tempo di guerra, è complicata, ma le gaffe, che ne derivano, sono pura poesia? Immaginiamo, per un attimo: un paese lanciare un attacco contro un altro, solo, per scoprire che in realtà erano alleati, con gli strateghi, dal sorriso imbarazzato, che tentano di offrire scuse, spesso, più esplosive delle bombe stesse: “scusate, pensavamo foste contro di noi!“. Nulla, dice “amicizia“, come lanciarsi missili e, poi, dire “eravamo solo confusi!“.

Che si sia trattato di precisione chirurgica degli attacchi?

Chi non ama i discorsi sulla “precisione chirurgica” degli attacchi militari? Sì, proprio quelli che fanno centro su un obiettivo e su altri tre quartieri circostanti. Che importa, gli esperti militari li chiamano “danni collaterali“, un po’ come andare dal dentista, per una carie e uscire con tre denti in meno, due otturazioni e un “Oops, mi sono sbagliato!“.

Che si sia trattato di tecnologia traditrice?

Come non parlare della tecnologia militare, altra perla degli scenari di guerra avanzata, che promette di rendere la guerra un “gioco di precisione“, con droni che devono identificare il nemico, ma che scambiano un gruppo di ragazzini e mamme per una cellula terrorista, dove la risposta ufficiale non va oltre il “problema tecnico“? Niente calma gli animi come sapere che, le macchine, capaci di decidere del nostro destino, sono gestite con la stessa affidabilità di un vecchio computer, che si blocca durante una partita a solitario. 

Che si sia trattato di piano A, B, C… improvvisazione?

I piani strategici, quelli che, dopo il fallimento del piano A, vedono entrare in gioco il piano B, una versione leggermente più confusa del piano A e, quando anche questo dimostra la sua scarsezza, si passa dal C, direttamente all’improvvisazione creativa, che, di solito, implica correre in giro urlando e sperando che nessuno se ne accorga.

Che si sia trattato di un attacco a sorpresa?

Gli strateghi militari sono famosi per la loro predilezione dell’elemento sorpresa, ma non sarebbe più sorprendente se, per una volta, non lo annunciassero nei notiziari con giorni di anticipo? “Domani alle ore 5:00 attaccheremo!” gridano a gran voce, convinti che l’effetto sorpresa sia ancora intatto, atteso che nessuno penserebbe mai di guardare l’orologio, lasciando, unico sorpreso, il pianificatore!

Che si sia trattato di geniali decisioni dei grandi strateghi?

L’apoteosi del tragico errore: le decisioni dei grandi strateghi, che pensano di poter pianificare la guerra come una partita di scacchi, ma che, alla fine, finiscono per giocare a un solitario senza conoscerne le regole. Ordini assurdi, attacchi e ritiri strategici, che sembrano più corse disordinate e manovre, capaci di confondere più i loro stessi soldati che il nemico. “Tranquilli, tutto pianificato, tutto parte del piano”, o almeno così dicono.

Che si sia trattato di diplomazia della distruzione?

Come non citare quella parte meravigliosa della guerra chiamata “diplomazia“, che vede i leader mondiali riunirsi attorno ad un tavolo per negoziare la pace, dopo aver lanciato bombe e minacciato di distruggersi a vicenda. Come se due vicini litigassero furiosamente per un parcheggio, distruggessero le rispettive macchine e, poi, si sedessero a discutere pacificamente chi ha il diritto al posto. Coerente, no?

Alla fine, i tragici errori in guerra ci mostrano come, nonostante tutte le risorse investite e i cervelloni alla guida, alla fine siamo, sempre, vittime della nostra stessa imperfezione, che, a volte, è così comica da sembrare una barzelletta. Il tragico errore in guerra ci ricorda una cosa fondamentale: l’assurdità del conflitto stesso. Mentre, i generali si arrampicano sugli specchi, per giustificare l’ingiustificabile e i leader politici cercano di dare la colpa a qualcun altro, resta solo da ammirare lo spettacolo, perché la guerra, la più grande commedia mai scritta, dopotutto, è un dramma umano, talmente ridicolo, che non può fare a meno di trasformarsi in una farsa.

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