Per chi non lo sapesse, ottenere la cittadinanza italiana è come partecipare a una partita di scacchi contro un’intelligenza artificiale che non sbaglia mai, ma con una piccola differenza: il gioco potrebbe durare anche venti anni e mezzo.
di Piero Mastroiorio
Dopo aver raggiunto le 500.000 firme per un referendum, che, che se dovesse raggiungere gli obiettivi sperati dai propositori, consegnerà la cittadinanza italiana agli immigrati in soli 5 anni.
Solo 5 anni a chi non ha usato i canali leciti per venire in Italia, ma ha attraversato da clandestino deserti, mari in tempesta, confini sorvegliati da telecamere e, per finire, la burocrazia italiana, che è forse l’ostacolo più temibile di tutti, è giusto e doveroso regalare loro il traguardo tanto atteso: la cittadinanza!
Però non facciamoci prendere dalla generosità, è bene precisare che non si tratta mica di diventare italiani di primo livello. Come vanno le cose in Italia, no, infatti, si potrebbe parlare di una cittadinanza “light”, il tanto rinomato status di “cittadino di Serie B”!
Per chi non lo sapesse, ottenere la cittadinanza italiana è come partecipare a una partita di scacchi contro un’intelligenza artificiale che non sbaglia mai, ma con una piccola differenza: il gioco potrebbe durare anche venti anni e mezzo.
“Venti anni, ma non ne occorrevano dieci?“, potreste chiedere voi, scioccati, ma certo, come vanno le cose in Italia, cosa volete che siano venti o trent’anni anni per una persona che già ha dovuto affrontare condizioni disumane per arrivare fin qui?
D’altronde, si sa che la pazienza è la virtù dei forti e nessuno è più forte di chi ha deciso di trasferirsi in un Paese che considera la burocrazia una forma d’arte.
Una volta che la pratica è avviata e l’impiegato comunale ha finalmente deciso di svegliarsi dal suo torpore burocratico, il potenziale cittadino deve affrontare una serie di prove che sembrano uscite direttamente da un reality show.
“Rispondi correttamente alle seguenti domande: quanti tipi di formaggi abbiamo in Italia? Quante volte devi pronunciare ‘mamma mia!’ in una giornata per essere considerato integrato?“.
Superato il test, non dimentichiamo l’esame di lingua italiana!
Ovvio, una persona che magari lavora, quattordici ore al giorno, per raccogliere pomodori nei campi abbia tutto il tempo del mondo per frequentare lezioni di grammatica, coniugare il congiuntivo è, del resto, una skill essenziale per essere italiano!
Ammesso, che non decidano di andare via prima, il neo cittadino italiani che riuscirà ad ottenere questo meraviglioso riconoscimento, non implica che lo stesso possa godere degli stessi diritti di chi è nato qui. Per esempio, potrà comunque sperimentare il razzismo, sia quello velato sia quello espresso con la raffinatezza di uno slogan da stadio. Potrà continuare a lottare per essere considerato degno di avere un lavoro non pagato in nero, e, chissà, forse, tra qualche decennio i suoi figli potranno finalmente vedere la fine del pregiudizio verso chi ha un cognome “troppo strano“.
Una bella eredità per la prossima generazione!
Ovviamente, 500.000 sottoscrittori o meno, come potrebbero mancare i commenti degli italiani “doc”, quelli che guardano con sospetto ogni straniero che osa aspirare a un titolo di pari dignità?
Semplice no: “Danno la cittadinanza a chiunque ormai!”
Alla fine dei conti, concedere la cittadinanza è davvero un gesto di estrema generosità, è come dire: “Benvenuto nella nostra grande famiglia, ma siediti pure laggiù, vicino alla porta, e cerca di non fare troppo rumore“. Questo gli immigrati lo sanno bene, però, pur di avere un pezzettino di carta che li rende, quasi, uguali agli altri, affrontano tutto, con la speranza che un giorno, forse, l’Italia possa vedere in loro non solo il “diverso” da tollerare, ma un cittadino con cui crescere insieme. Quindi, eccoci qui, con la cittadinanza agli immigrati. Non sarà perfetta, sarà spesso un percorso ad ostacoli, una prova di pazienza infinita e di resistenza, ma, ehi, almeno alla fine possono dire di essere parte di questo paese, con la solita raccomandazione: che sia un’innovazione all’italiana, non troppo, però!