di Piero Mastroiorio —

Uno studio, “A novel view of the destruction of Pompeii during the 79 CE eruption of Vesuvius (Italy): syn-eruptive earthquakes as an additional cause of building collapse and deaths”, pubblicato da poco sulla rivista ‘Frontiers in Earth Science’, a cui hanno partecipato esperti in archeologia, vulcanologia, antropologia e archeosismologia, ha analizzato i danni strutturali e crolli che hanno coinvolto due individui di cui sono stati rinvenuti i resti scheletrici, riportati alla luce durante recenti scavi, nell’ambito dei lavori di messa in sicurezza e riprofilazione delle scarpate nell’insula dei Casti Amanti, all’interno del Parco Archeologico di Pompei.

La ricerca, condotta nell’ambito di un accordo di collaborazione scientifica tra l’INGV, Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, ed il Parco Archeologico di Pompei, ha ricostruito gli effetti della sismicità, che ha caratterizzato l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. sull’antica città di Pompei e sui suoi abitanti, integrando dati vulcanologici, relativi la sequenza dettagliata di depositi sedimentati durante le varie fasi dell’eruzione, e antropologici, relativi al numero e alla gravità delle fratture scheletriche associate a traumi da schiacciamento, unitamente all’analisi delle lesioni e dislocazioni murarie, ha evidenziato come Pompei e i suoi abitanti subirono gli effetti distruttivi e mortali della sismicità nel corso dell’eruzione, oltre a quelli già noti derivanti dai fenomeni vulcanici.

«I risultati che abbiamo ottenuto con il nostro studio aggiungono un ulteriore tassello alla conoscenza della dinamica degli eventi vissuti dagli abitanti di Pompei quasi 2000 anni fa. Lo studio ci ha anche consentito di individuare il momento esatto dell’eruzione in cui la sismicità ha avuto effetti distruttivi contribuendo, probabilmente, a influenzare le azioni dei Pompeiani durante la catastrofe», spiega Mauro Antonio Di Vito, Direttore dell’INGV-Osservatorio Vesuviano e co-autore dell’articolo, in relazione agli studi condotti finora nell’antica Pompei, che si sono maggiormente concentrati sul susseguirsi dei fenomeni vulcanici e sul loro impatto sulle vittime e sulle strutture, anche, se l’impatto massiccio della sismicità è stato ipotizzato in passato. Situazione che può essere imputata agli effetti dei fenomeni vulcanici sulle strutture, che possono mascherare quelli indotti dalla sismicità, rendendo molto complessa l’interpretazione senza un’accurata valutazione dei danni strutturali.

«L’accumulo di pomici causò il cedimento di alcuni tetti e le prime vittime tra coloro che avevano cercato riparo. Dopo la fine della pioggia di pomici, un breve declino dell’attività eruttiva spinse probabilmente i sopravvissuti a ritenere che il peggio fosse passato, ma non fu così. Al tempo stesso, forti terremoti scossero Pompei, ricordati anche da Plinio il Giovane, testimone oculare della catastrofe di cui sono conservate due lettere: fu il preludio della seconda fase dell’eruzione, che vide un ampio settore del vulcano iniziare a sprofondare formando una caldera», dice Domenico Sparice, vulcanologo dell’INGV-Osservatorio Vesuviano e co-autore dello studio, a proposito dell’eruzione del 79 a.C., che cominciò nella tarda mattinata, ma solo intorno alle 13:00 iniziò la fase parossistica, quando, una colonna eruttiva si innalzò sul vulcano, raggiungendo un’altezza massima di più di 30 km, seguita da una pioggia di pomici che iniziò a cadere su Pompei, spingendo i suoi abitanti a rifugiarsi o a rimanere negli edifici, come fecero i due individui i cui scheletri sono stati oggetto dello studio.

«Lo studio appena pubblicato dimostra come solo un approccio multidisciplinare in grado di andare oltre gli aspetti puramente vulcanologici, includendo, anche, un’attenta analisi delle lesioni murarie ed eventualmente l’analisi antropologica, in caso di collassi associati a vittime, consente una corretta valutazione dei danni registrati durante l’eruzione e della loro relazione causa-effetto. Inoltre, testimonia che durante le grandi eruzioni esplosive gli effetti della sismicità possono essere rilevanti anche ad alcuni chilometri di distanza dal vulcano», conclude Gabriel Zuchtriegel, direttore del Parco Archeologico di Pompei e co-autore dello studio.

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