Nel 2021, le Regioni meridionali hanno registrato quantità di piogge piuttosto abbondanti, mentre, al Centro-Nord sono state decisamente inferiori alle medie climatologiche. Il nostro Paese, per cause non solo dipendenti dalle precipitazioni e dal cambiamento climatico, è a rischio inaridimento e desertificazione. Inaugurato, a Bari il “Monumento all’Acqua”.     

di Piero Mastroiorio —

«Tutti gli studi accademici e tecnici affrontati confermano che nell’ultimo mezzo secolo, “piove” più o meno sempre con gli stessi quantitativi, ma tale quantità di acqua cade in un numero di giorni che, a seconda delle aree fisiche della penisola, è diminuito tra il 6 ed il 10% circa.
L’acqua, l’attuale e futuro oro bianco. Basterebbero queste poche parole a far comprendere all’Umanità tutta l’importanza di tale elemento fondamentale per la vita di ciascuno di noi e del pianeta. Purtroppo, però, la stragrande maggioranza della popolazione focalizza l’attenzione su tale gioiello in occasione di pochi appuntamenti annuali nei quali se ne ricorda l’importanza o si parla di meteorologia o dell’ambiente, per i restanti giorni dell’anno si continua, invece, a farne cattivo uso e a sprecarla, ma i “numeri dell’acqua” ci dicono che la situazione sta divenendo critica e non è lontano il momento, poco più di quindici anni,  in cui la nostra penisola dovrà considerarsi in uno stato di “stress idrico”, con le tremende conseguenze del caso.

In realtà, affrontando in maniera semplice il discorso, risulta evidente che il ‘climate change’ in atto ha determinato ripercussioni poco comprensibili ai più, relativamente alle precipitazioni meteoriche», afferma Massimiliano Fazzini, Responsabile del Gruppo di Studio sul Cambiamento Climatico della Società Italiana di Geologia Ambientale, Coordinatore di Climetech-Remtech di Ferrara, nonché, Climatologo del Dipartimento INGEO dell’Università Chieti-Pescara, che ha spiegato: «Senza tenere conto della drammatica situazione dell’uso del suolo e dell’antropizzazione, almeno da un punto di vista idroclimatologico, ciò si traduce in due effetti principali:
1) le precipitazioni sono mediamente più concentrate nel tempo. Sta aumentando in tal senso la frequenza dei giorni con precipitazioni abbondanti con ovvie ripercussioni sulle portate dei corsi d’acqua principali, sulla ricarica delle falde acquifere di diversa tipologia e magnitudo ma soprattutto sul ruscellamento, con ovvie ripercussioni sul dissesto ed idrogeologico;
2) Si assiste ad un marcato aumento della frequenza e della durata dei periodi senza precipitazioni o se si preferisce dei periodi caratterizzati da “siccità climatica”. Questo segnale, almeno negli ultimi anni, sembrerebbe paradossalmente essere più significativo al nord piuttosto che al sud, con ovvie problematiche sulla disponibilità, soprattutto nei periodi caratterizzati da temperature più elevate, quando il fabbisogno aumenta per svariate cause, da quelle agricole a quelle industriali a quelle turistiche
.».

Non solo le precipitazioni più concentrate nel tempo e marcato aumento della frequenza a farci temere per un futuro povero d’acqua, ma anche le situazioni relative alle varie Regioni italiane, come quella delle Regioni meridionali, che nel 2021, avevano un surplus pari al 15%, mentre, al Centro e nel Nord Italia le quantità di piogge erano inferiori, anche, del 25%, come spiega concludendo il climatologo, Massimiliano Fazzini: «Se ci si vuole riferire all’ultimo anno meteorologico, il 2021, tale segnale appena descritto va ad essere confermato: le ‘cumulate meteoriche’ totali hanno evidenziato andamenti differenti nelle varie zone meteo climatologiche che contraddistinguono il territorio nazionale.
Le regioni meridionali hanno registrato quantità di piogge piuttosto abbondanti, con surplus sino al 15%, mentre al centro-nord, in particolare tra Piemonte ed Emilia Romagna, sono state decisamente inferiori alle medie climatologiche, sino al 25% in alcune aree emiliane. Il deficit pluviometrico complessivo a livello nazionale non è stato significativo, pari al 4% circa rispetto al periodo 1981-2010, ma le manifestazioni piovose si mostrano sempre più intense e meno frequenti con le ripercussioni geomorfologiche ed idrogeologiche sovra menzionate e determinando infine ed in generale una minore disponibilità di risorse idriche di buona qualità
.

Quanto alla neve, fondamentale “stoccaggio” invernale di acqua, disponibile durante il periodo primaverile, essa mostra comportamenti molto irregolari. In generale le cumulate stagionali stanno diminuendo sensibilmente in pianura e sino a quote prossime ai 1.200 metri, per non evidenziare alcuna tendenza significativa ed addirittura aumentare alle quote più elevate. Mediamente oltre i 2.000 metri, in particolare sui settori più orientali della Penisola, ma, anche, in questo caso, il numero di giorni con nevicate sta diminuendo in maniera uniforme a tutte le quote. Ne consegue che sono evidenti, come in quest’ultima stagione invernale, periodi caratterizzati da lunga siccità e da quasi totale assenza del manto nevoso sino alle quote elevate, anche in maniera dipendente dalla relativa mitezza del clima invernale. Inoltre, risulta evidente che la variabilità nel corso dell’anno delle ‘cumulate’ stia aumentando sempre di più. Ad anni particolarmente nevosi si contrappongono giorni quasi del tutto deficitarie di nevicate con facili e critiche conseguenze, estese dall’ambiente fisico glaciale delle Alpi a quello submediterraneo dei rilevi dell’Italia meridionale e insulare.
Infine, almeno sino ai 1.600 m. di quota, la neve rimane al suolo per periodi continuativi sempre meno estesi, in maniera direttamente proporzionale all’incremento delle temperature medie dell’aria e di quelle del suolo. Forse però, una evidenza, oramai assodata, può colpire ancora più di queste evidenze scientifiche, tradotte in maniera semplice: nel nostro Paese, per cause non solo dipendenti dalle precipitazioni e dal cambiamento climatico, il 20% circa del territorio nazionale è a rischio inaridimento e successivamente a desertificazione. Le zone più in pericolo sono quelle situate nel meridione, dove il problema della carenza di precipitazioni è molto più consistente, ma, anche, aree del settentrionale del paese, come ad esempio il delta del PO, presentano un rischio significativo di incorrere in questa drammatica situazione. Dunque l’appello accorato è sempre quello: non sprechiamo l’acqua e buona giornata dell’acqua a tutti
.».

BARI: Parco Rossani, la realizzazione della la scultura-fontana in memoria di Michele Maggiore,
opera d’arte di Vincenzo D’Alba

Da segnalare, in questa Giornata mondiale dell’acqua, che la Società Italiana di Geologia Ambientale e l’Ordine dei Geologi della Puglia, hanno inaugurato, a Bari, a dieci anni dalla scomparsa del prof. Michele Maggiore, docente di Idrogeologia presso l’Università di Bari, il “Monumento all’Acqua”.
Un’opera in ceramica firmata dall’artista e architetto Vincenzo D’Alba, costituita dall’assemblaggio di quindici coppi in terracotta, del diametro di circa 18 cm, tradizionalmente usati in edilizia per la realizzazione dei pluviali, che definiscono una colonna alta circa 4,5 metri al cui interno si realizza lo scorrere lento dell’acqua.
La scultura-fontana, un monumento all’acqua che rappresenta un axis mundi, un elemento di congiunzione tra terra e cielo, riportando l’attenzione sul valore assoluto, che il tema dell’acqua esprime, è dipinta ed incisa per tutta la sua altezza attraverso segni e memorie grafiche come omaggio all’acqua, un’iconografia che partendo da segni primordiali e attraversando l’opera di Duilio Cambellotti, autore del palazzo dell’Acquedotto di Bari, giunge a una lettura contemporanea dei segni e delle immagini che questa risorsa naturale evoca.

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